Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

Guadalupa, stupore primordiale

Guadalupa

Schegge di terre emerse. Veri e propri scrigni di verde e di vita. Visitare il meraviglioso arcipelago e “capire” la sua gente, vuol dire vivere nella modernità e assorbire la linfa vitale di antiche e nobili radici

Spiagge bianche a Guadalupa (Foto: Giovanna Dal Magro ©)
Spiagge bianche a Guadalupa (Foto: Giovanna Dal Magro ©)

…j’inscris ce chant de tout un peuple, le plus ivre, à nos chantiers tirant d’immortelles carènes” (iscrivo questo canto di tutto un popolo, il più ebbro, traente ai nostri cantieri carene immortali) Saint-John Perse, poeta di Guadalupa, premio Nobel

Per gli europei e i nord-americani (specie Stati Uniti e Canada) la zona caraibica rappresenta uno dei luoghi “eletti” del mondo, nel quale trascorrere le proprie vacanze, scoprendo climi e stili di vita spesso lontani mille miglia da quelli abituali vissuti nelle città d’Europa o del grande continente nordamericano.

In modo particolare, attira i visitatori quel rosario di isole che si dispiegano ad arco dal Portorico, giù, fin quasi a contatto con le coste del Venezuela. Centinaia di piccole isole formatesi nella notte dei tempi da immensi sconvolgimenti tellurici e spaventose eruzioni vulcaniche; da laboriose e costanti modificazioni procurate dall’erosione dei venti e dei mari. L’Atlantico e il Mare dei Caraibi sono divisi, si fa per dire, da queste schegge di terre emerse, veri e propri scrigni di verde e di vita. Una vita, meglio sarebbe dire un’esperienza composita di vita, che parte da molto lontano e che in definitiva rappresenta l’impulso dominante per chi si appresta a visitare i favolosi Caraibi. In questo caso, lo splendido arcipelago della Guadalupa.

Le isole, prima di Colombo

Una donna Arawak (Illustrazione di John Gabriel Stedman)
Una donna Arawak (Illustrazione di John Gabriel Stedman)

All’epoca dell’arrivo di Colombo, Guadalupa (che si chiamava Kerikera) e le isole circostanti, erano abitate dai Caribi, tribù appartenenti al grande ceppo etnico e linguistico degli Amerindi, stanziati nell’America meridionale. Cacciando gli Arawak, avevano occupato quasi tutte le isole Sopravento e Sottovento dei Caraibi. È però importante rilevare come siano stati proprio gli Arawak, presenti nel Venezuela, in Colombia, nel Brasile occidentale e in molti altri territori del Sud America, ad avere dato origine ad un ventaglio di tribù che si sarebbero espanse, gradualmente, verso le grandi e piccole isole del Centro America; una popolazione, quella degli Arawak, che sarebbe sopravvissuta nelle varie tribù di altro nome, sino ad estinguersi come tribù originaria. Ecco allora i Taino, colonizzatori delle Grandi Antille; i Lucayan, presenti alle Bahamas e i Bimini in Florida. Nell’isola di Trinidad troviamo poi i Nepoya e i Suppoyo e nelle piccole Antille i Caribi, che avevano preso il posto degli Igneri; lungo le coste dell’America del sud, sino ai confini dell’attuale Brasile, vivevano i Lokono. Come si può vedere, le terre scoperte da Colombo erano già state “colonizzate” da genti provenienti dall’America meridionale.

Gli spagnoli, giunti successivamente ai primi viaggi di Colombo, descrivono gli Arawak come persone gentili e pacifiche, mentre secondo alcuni storici erano individui bellicosi e, talvolta, feroci. Quello che è certo è che la loro lingua è stata per secoli, con le immancabili sfumature dovute agli influssi di tribù affini o del tutto differenti, il veicolo d’espressione dominante in uso nell’area caraibica. Molte parole degli Arawak sono tuttora presenti in diverse lingue moderne, italiano compreso: amaca, caimano, colibrì, canoa, ed altre ancora.

Una cultura variegata e sanguigna

Giovane donna caraibica (Foto: Giovanna Dal Magro ©)
Giovane donna caraibica (Foto: Giovanna Dal Magro ©)

La presunta cattiva fama “caratteriale” degli Arawak è di fatto superata, dicono le cronache storiche, da quella dei Caribe stessi, subentrati nella colonizzazione delle Antille. Sono stati loro, infatti, a sterminare gli uomini Arawak, risparmiando le donne. Ed è forse per un inconscio debito di gratitudine che in seguito siano state proprio le donne a conservare, quanto più possibile, la lingua della tribù primitiva. A loro volta i Caribe (detti anche Kalinas) hanno seguito la stessa sorte per opera di spagnoli, inglesi e francesi, presenti questi a Guadalupa sin dal 1635.

Guadalupa-Carneval
Guadeloupe-Carneval

Oggi il 65% degli abitanti dell’arcipelago sono mulatti, il 28% neri e il 4% indiani di origine asiatica. I bianchi sono pochi: in proporzione, solo il 3% del totale, stanziati prevalentemente e storicamente a Terre-de-Haut, nelle isole Les Saintes; sono i discendenti degli originari coloni provenienti dalla Bretagna e dalla Normandia. Ad avere cambiato la composizione etnica di Guadalupa e ad avere inciso notevolmente sulla formazione e successiva crescita di una vera e propria identità isolana, è stato il periodo (Seicento e Settecento) delle grandi immigrazioni forzate di schiavi dall’Africa, per lavorare la canna da zucchero, il caffè. Dichiarata decaduta una prima volta nell’anno 1794, reintrodotta nel 1801 da Napoleone, la schiavitù viene definitivamente abolita nel 1848. Frattanto, la lingua locale si trasforma nel Creolo, nato dalla fusione dei diversi elementi culturali caribi, europei, africani, asiatici. Con la “nuova” lingua, nata per favorire i contatti fra i padroni e gli schiavi, oggi impiegata correntemente e sostituita dal francese per i contatti internazionali, si mantengono intatte antiche tradizioni e credenze locali, espressione di una cultura popolare che scandisce i ritmi di vita della gente di Guadalupa.

Fra zombi, diavolesse e tormenti d’amore

Punch in bottiglia venduto in un mercatino locale (Foto: Giovanna Dal Magro ©)
Punch in bottiglia venduto in un mercatino locale (Foto: Giovanna Dal Magro©)

È “cultura”, non ancora livellata dal rullo compressore della globalizzazione, la conservazione di piccoli mestieri: gli ambulanti con i loro carrettini colmi di frutta, dolci, oggetti d’uso quotidiano. Rimangono vivi i combattimenti dei galli, le processioni con carri trainati da buoi, le superstizioni e le credenze vecchie di secoli, con l’universo popolato di zombi, diavolesse e spiriti vari. La religione cattolica è vissuta con intensità e la devozione popolare si esterna anche con ricchi addobbi, luci, colori. Il culto per le anime dei propri cari è vivissimo e a loro si augura di continuare a godere nell’aldilà il paradiso che hanno lasciato in terra.

(Foto di Giovanna Dal Magro ©)
(Foto di Giovanna Dal Magro ©)

Il sacro si mescola al profano con naturalezza e ogni manifestazione di vita e di operosità viene scandita, ça va sans dire, dall’aroma e dal nerbo del delizioso rum locale, al quale s’accompagnano una infinita varietà di cibi, frutto di ciò che la terra offre e delle fantasiose elaborazioni della gente. Mai avrebbe pensato Cristoforo Colombo che dopo oltre mezzo millennio dal suo arrivo a Guadalupa (4 novembre del 1493) gli odierni abitanti, innamorati pazzi della loro isola caraibica ma nel contempo profondamente francesi, avrebbero chiamato “Colombo” una spezia, simile al curry, impiegata per insaporire piatti di carne o pesce. E non è l’unico nome strano della cucina del luogo; il vocabolario creolo accoglie altri nomi fantasiosi, a cominciare dal musicale “bélélé” che sono gustose polpettine di pane con trippa, originarie dell’isola Marie Galante, nella quale il genovese ha messo piede il giorno prima della “scoperta” di Guadalupa.

La “cristophine”, probabilmente così battezzato dal nome di una cuoca particolarmente abile nel prepararlo, è un curioso ortaggio a forma di pera, delizioso se cucinato in gratin. Per stomaci forti c’è poi il “féroce”, composto da avocado, merluzzo, farina di manioca e peperoncino; piatto forte dei pirati di un tempo, ecco il “poulet boucané”, pollo affumicato sottobrace e aromatizzato con canna da zucchero. Per finire ed entrare in sintonia con le magiche atmosfere di queste isole disseminate fra Atlantico e Caraibi, ecco i “tourments d’amour”: biscotti alla noce di cocco e alla goyava.

Le “voci” letterarie delle isole

Saint-John Perse in una foto del 1960 (Foto: Nobel Foundation)
Saint-John Perse in una foto del 1960 (Foto: Nobel Foundation)

Gens de négoce et de loisir” (gente di negozio e d’ozio). Così ha acutamente definito i suoi compatrioti isolani Saint-John Perse (1887-1975) noto anche con lo pseudonimo di Alexis Léger, nativo di Pointe-à-Pitre, insignito nel 1960 del Premio Nobel per la letteratura. Giuseppe Ungaretti, grande estimatore del poeta francese nativo della Guadalupa, fa osservare come Perse abbia mascherato dietro le parole francesi i due termini latini negotium e otium. La costante e quasi ossessiva ricerca della “forma” e della “parola” che meglio le dia vita, è infatti un tema ricorrente della poetica di Perse, alias Léger. Aggiunge Ungaretti: “la parola chiave della poesia di Perse è ‘mistero’: è il lettore che deve svelarlo nella misura in cui riesce a trasferire nei vocaboli le proprie emozioni e l’originalità della sua visione; soltanto in questo modo si arriva a cogliere la profondità poetica al di là della ‘falsa cultura’ ”.

Nel 1930 Giuseppe Ungaretti ha tradotto “Anabase”, l’opera più nota di Perse e ne ha reso partecipi i lettori con queste significative parole: “…un mondo m’è stato spalancato quando non arrivavo a trovare in me il minimo segno di chiarezza. Io vi incontro ad ogni passo stupori nuovi. È una consolazione potere consacrarsi ad un tal lavoro”.

Elogio della CreolitàL’opera di un secondo scrittore antillano, Patrick Chamoiseau, nativo della Martinica, ci conduce per contro alla scoperta delle profonde radici etniche e sociali delle popolazioni delle isole, in gran parte originate nel tempo dalle migrazioni forzate dei neri d’Africa, per mezzo soprattutto di un romanzo del 1986 (Chronique des Sept misères, Cronaca delle sette miserie) e di un manifesto letterario del 1989 (Éloge de la Créolité, Elogio della Creolità). A Chamoiseau, nel 1992, è stato assegnato il Premio Goncourt.

Visitare e “capire” Guadalupa, alla resa dei conti, vuol dire vivere nella modernità e assorbire nel contempo la linfa vitale di antiche e nobili radici. Cos’altro desiderare, di più e di meglio?

Notizie utili

Atout France – Ufficio del Turismo francese –

via Tiziano, 32 – Milano – http://it.franceguide.com/

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