C’è un punto geografico, pressappoco a metà dell’arteria asfaltata che scorre nel Parco Nazionale di Ayers Rock, in cui è possibile fermarsi – tutt’attorno il panorama uniforme del bush – per abbracciare con lo sguardo le due celebri “gemme” del Parco: Uluru e Kata Tjuta. Nel sole del tramonto entrambi i monoliti, quello singolo di Uluru e quelli molteplici di Kata Tjuta, risaltano di due tinte rossastre differenti: un rosso-rosa illuminato dal sole, Uluru; un rosso più cupo la piccola catena di Kata Tjuta, che il sole lo ha alle spalle.
Sono una quarantina i chilometri che separano i due rilievi; ma dal centro della pianura verde, appaiono al visitatore per quello che realmente sono: due monumenti della natura e, insieme, dell’umanità. Milioni di anni hanno trasformato queste cime che un tempo dovevano apparire più elevate e sicuramente inserite in un panorama geografico diverso. Ora, levigate dai secoli, conservano una certa maestosità, non fosse altro per la storia umana che le ha viste protagoniste. Dagli abissi di migliaia e migliaia di anni, a ritroso nel tempo, hanno percorso un arco temporale inimmaginabile, durante il quale infinite generazioni di Aborigeni hanno tracciato il cammino di una civiltà primitiva e affascinante che ora, all’inizio del terzo millennio, viene pienamente rivalutata.
Ayers Rock. La città “non città”
Con la creazione del Parco Nazionale dei monoliti, si è avvertita la necessità di rendere questo luogo accogliente per il gran numero di visitatori che incessantemente arrivano da ogni angolo del mondo. Così è nata Ayers Rock, sul nulla del bush.
Siccome lo spazio non manca, dalla strada principale che arriva dal sud Australia e prosegue verso il nord di Alice Spring e Darwin, è stato progettato un vasto perimetro, dalla vaga forma di un gigantesco fagiolo. La strada corre a cerchio tutto intorno, poi vi sono collegamenti per entrare nelle zone interne; se si sbaglia il collegamento giusto (gli altri sono in uscita, quindi vietati) si percorre di nuovo il fagiolo. All’interno, ricchi di spazio e di infrastrutture, sono nati magnifici hotel, resort e dei Camp più economici formati da piccole palazzine immerse nella vegetazione varia di quest’area.
Non mancano naturalmente gli edifici di servizio; amministrazione locale, posto di polizia, pronto soccorso, e così via. Il cuore di Ayers Rock merita un occhio particolare. E’ il nucleo chic del piccolo insediamento. Qui si trovano supermarket, banche, boutiques, gallerie d’arte, ristoranti, self service, luoghi di ristoro e riposo, in piazzuole con fontane e alberi. Naturalmente ad Ayers Rock c’è di tutto, per la comodità e le esigenze dei turisti, shopping incluso. Non è un paese da girare a piedi, questo, eccezion fatta per il nucleo centrale. Troppe le distanze da percorrere, eccessivo il caldo. Ecco perché i bus sono tantissimi e ovviamente anche le auto dei vacanzieri. Ayers Rock delle quattroruote, dunque. Un insediamento del ventunesimo secolo nel bel mezzo di un paesaggio vecchio di milioni di anni.
A piedi tra i monoliti
A questi monumenti naturali ci si avvicina con lentezza, e solo a piedi, seguendo i sentieri tracciati dalle autorità del Parco. E’ una sensazione strana e bellissima, per esempio nel caso di Uluru, vedere il grande panettone rosso, che assume colorazioni differenti a seconda dello scorrere delle ore, diventare sempre più grande e mettere a nudo le molte “rughe” che lo caratterizzano. Fenditure della roccia dovute allo scorrere delle acque piovane, che troviamo poi raccolte nelle rientranze della base, a loro volta scavate nelle forme più strane e inumidite da piccole pozze d’acqua.
La montagna, lentamente, per via dei notevoli sbalzi di temperatura fra notte e giorno, perde porzioni di roccia, che poi si sbriciolano e rendono alcuni passaggi estremamente difficili. Ecco perché vi sono apposite passerelle in legno; in alcuni punti, dei cartelli invitano a non percorrere certi tratti di terreno o a non salire su invitanti lastroni in pendenza; sono luoghi sacri, nei quali gli aborigeni compiono i loro riti religiosi e funerari, evocano con speciali cerimonie i numerosi spiriti delle fantastiche divinità locali. Non sono nemmeno luoghi da fotografare, questi: si “ruberebbe” l’anima dei defunti e ciò per gli aborigeni è sconveniente. Poi, come sempre succede, c’è chi asseconda gli inviti e chi li ignora. E’ al contrario quasi sempre accettato il consiglio di acquistare dei copricapo con veletta protettiva per tenere lontani dal viso i fastidiosissimi moschini.
I luoghi sacri di Uluru e Kata Tjuta
Il nome di Edward John Eyre (1815-1901) è molto popolare in Australia. Numerosi luoghi geografici sono stati chiamati in suo onore: tra questi, il Lago Eyre, il più vasto del continente, la Penisola Eyre, oltre ad alcuni villaggi in Nuova Zelanda. Eyre è stato il primo inglese ad attraversare il continente australe da est ad ovest, negli anni compresi tra il 1839 e il 1841. Esploratore, amministratore coloniale, si è dedicato nel corso della sua permanenza australiana ad approfondire la cultura degli aborigeni, divenendo un fautore del loro necessario inserimento nella società civile del continente.
D’altra parte, ora che alle varie tribù è stato sancito per legge il diritto alla proprietà dei territori nei quali vivono, è bene ricordare che la presenza aborigena in Australia si perde davvero nella notte dei tempi. Le recenti ricerche archeologiche (1987) effettuate nella zona delle Cleland Hills, a nord di Uluru, pare confermino la presenza dei locali in quest’area da circa 22.000 anni.
I proprietari tradizionali del Parco di Ayers Rock sono gli Anangu o Pitjatjantjara C’è una parola (Tjukurpa) che comunemente viene tradotta con “sogno”, che gli Anangu utilizzano per riferirsi ai tempi ancestrali, quando il mondo è stato formato da esseri eroici, eruttati dalle fenditure del terreno; dopo aver percorso grandi distanze, incontrando innumerevoli avventure, hanno finito per lasciare sulla terra il segno del loro passaggio e della loro esistenza in molte forme differenti. A Uluru, i più significativi di questi antenati sono stati Mala, Kuniya e Liru (serpenti velenosi).
Antenati simili sono vissuti anche fra le 36 cime o “domes” di Kata Tjuta. In questo caso gli Anangu, che qui praticano importanti cerimonie rituali in vari periodi della loro esistenza, non ritengono sia il caso di rivelare agli estranei o ai turisti i nomi delle divinità di Kata Tjuta. Il grande Parco Nazionale di Ayers Rock si estende per 1.325 chilometri quadrati e accoglie ogni anno circa 300.000 visitatori.
Arte Aborigena
Nel Centro Culturale di Ayers Rock c’è un piccolo e ben organizzato Museo.
Naturalmente è proibito fotografare, ma in compenso vi sono filmati, pannelli esplicativi, oggetti d’uso familiare, attrezzi per il lavoro ecc. che danno un’idea compiuta della vita quotidiana degli aborigeni. Alcuni filmati sono di particolare interesse, perché spiegano la nascita e l’evoluzione di determinate funzioni sacre, di certi riti ancestrali. Come tutti i Musei, anche questo dispone di una speciale sezione dedicata allo shopping. Tessuti, abiti e oggetti d’artigianato in vendita; ma anche opere d’arte con una raccolta di ottimi disegni, quadri, pannelli di artisti noti e di giovani d’avanguardia. I colori sono molto vivi e le composizioni cromatiche fantastiche. Mentre i disegni, agli inizi, seguivano un preciso rituale simbolico, strettamente legato alla vita di tutti i giorni degli aborigeni, in questi ultimi anni – non sempre, ma in molti casi si – vi sono maggiori interpretazioni di fantasia, specie negli autori più giovani. La visita di Uluru e Kata Tjuta ha il suo logico compimento con la oramai celebre “Sounds of Silence Night”. I misteri della volta celeste e i legami con le tradizioni di vita dei locali, vengono spiegati da un dicitore – un po’ “teatrale” ma efficace – che nel buio più assoluto indirizza fasci di luce verso le varie costellazioni, spiegandone gli antichi legami con i progenitori ancestrali. Lo spettacolo, decisamente turistico ma sempre suggestivo, ha in sottofondo il suono cupo e vibrante dello “didjeridoo”, il lungo strumento a tubo degli aborigeni.