Andreas Doppler, norvegese benestante e borghese dal curriculum esemplare, dopo aver abbandonato un lavoro ambitissimo e una moglie di nuovo incinta, vive ormai da mesi come un primitivo in una tenda alle porte di Oslo con il figlio piccolo Gregus e un cucciolo di Alce che ha adottato, Bongo.
Nella più totale misantropia ha deciso infatti di abbandonare la civiltà capitalista con i suoi plurimi inessenziali bisogni per combattere una sua personalissima battaglia contro il più insidioso dei nostri mali: la bravura. Ma i norvegesi sono un nemico troppo tenace, e allora Doppler, con il suo poco convinto seguito, si incammina per i boschi verso le leggendarie foreste del Värmland, in Svezia, in cerca di non si sa bene cosa, forse solo di persone buone, di gente annoiata fino al punto di essere felice.
Ma il viaggio della speranza si ferma appena superato il confine, quando la comitiva cade tra le grinfie di Maj Britt, una Circe novantaduenne rabbiosa in perenne lotta contro il mondo, con due passioni travolgenti, il reggae e la marijuana, e due vendette da portare a termine prima di morire: una contro la Volvo Trucks, che ha fatto miliardi grazie al famosissimo TIR Globetrotter, di cui il suo defunto marito è stato il misconosciuto inventore, e una contro il vicino von Borring, devoto dello spirito scout e fanatico di uccelli, le cui colpe sono perdute, però, nella nebbia degli anni e delle canne.
Tra episodi esilaranti, dialoghi surreali, intromissioni dell’autore e riflessioni sul nostro vivere (a)sociale, ritroviamo l’Erlend Loe politicamente scorretto di sempre.
Volvo è un piccolo e prezioso vademecum contro la schizofrenia di una società dove tutto è possibile ma rifarsi davvero una vita è impraticabile, dove la libera ricerca della felicità finisce per renderci prigionieri dei nostri schemi mentali e dove l’unica cosa che ci viene concessa, se siamo abbastanza folli, è un piccolo ma fondamentale time out.