Arriviamo a Bali all’aeroporto di Denpasar dopo un breve volo da Jakarta, fiduciosi di trovare l’isola dei sogni, come ci aveva assicurato una famiglia giapponese residente da qualche anno nella capitale indonesiana. Sul volo di Air Asia mi trovo a fianco una giovane donna tedesca con il suo bambino di tre anni, sveglissimo per la giovane età e volonteroso di imparare il più possibile su tutto ciò che lo circonda; con pazienza, la mamma risponde alle continue domande del piccolo, lo strega con il racconto dei tuffi in mare e dei castelli di sabbia che a breve avrebbero costruito: l’immagine di quegli occhi curiosi mi rimarrà impressa durante l’intera vacanza.
Verso Kuta, atmosfere vacanziere
Mentre aspettiamo i bagagli, ci lasciamo andare a qualche considerazione sull’apparenza davvero poco moderna dei terminal, e notiamo l’espressione non proprio felice dei passeggeri che escono dai servizi; andremo a verificare poco dopo, col risultato di trovare un’assenza quasi assoluta di igiene. Decidiamo di attribuire la colpa a quella che ci dicono essere “alta stagione”, e in effetti siamo a fine marzo, uno dei periodi preferiti dagli australiani per concedersi qualche giorno “fuori porta”, anche se la tendenza non varia mai molto nel corso dell’anno, fatta eccezione per la stagione delle piogge. Prendiamo un taxi e ci dirigiamo verso Kuta, una delle aree più turistiche dell’isola, dove si trova il nostro hotel. Arriviamo circa mezz’ora dopo e l’impressione è davvero ottima: passiamo nel centro della provincia, tra strade brulicanti di negozi e di vita e ci facciamo prendere dall’atmosfera di festa e dall’allegria che si legge sul volto di ogni visitatore. Ragazzi con tavole da surf vanno verso la spiaggia, famiglie e coppie si godono momenti di shopping e nonostante le trattative spesso si prolunghino più del necessario alla fine si riesce quasi sempre ad andarsene soddisfatti. L’hotel è più di quanto ci aspettassimo: prenotato via internet qualche mese prima ad una tariffa ridottissima, si rivela un’ottima struttura, con tanto di ristorante e bar in piscina, le “sedute” in acqua e un mare di australiani ad occuparle per godersi fiumi di birra Bintang a un prezzo irrisorio. Unica pecca, il sistema di aria condizionata, non ovunque perfettamente funzionante, ma necessario a causa delle temperature e dell’elevata umidità.
Bali, spiritualità isolana: un lontano ricordo
Il giorno seguente decidiamo di fare un giro tra i vicoli pieni di negozi e veniamo letteralmente travolti da una miriade di venditori che farebbero di tutto pur di attirare l’attenzione dei turisti sulle loro merci, incluso prenderli per la mano o il braccio e trascinarli all’interno delle loro botteghe. Pochi i prodotti tradizionali e molti quelli in genere esportati in grande quantità, come mobilio e suppellettili di ogni tipo, complementi d’arredo, lampade, ma anche artigianato vero e proprio rappresentato da maschere o bracciali in legno. Noteremo nei giorni successivi importanti trattative tra negozianti europei e locali per l’acquisto di grandi partite di merce da rivendere poi nei nostri Paesi. Verso sera ci fermiamo in un bazar, e cominciamo una conversazione con il proprietario, un giovane originario di Sumatra ma trasferitosi a Bali da 14 anni; dopo una serie di considerazioni generali, la conversazione si fa più profonda e veniamo a sapere che fino a non molti anni fa la vita sull’isola era molto diversa e a suo parere migliore, mentre ora il mondo occidentale sarebbe riuscito a penetrare la realtà prima tradizionale di un’isola, la cui economia non si basava sul turismo di massa e i cui valori erano più legati al rispetto per l’uomo e la natura.
Kuta Beach, la spiaggia “spazzatura”
Ce ne rendiamo conto poco dopo, quando visitiamo per la prima e ultima volta Kuta Beach, famosissima meta balneare sull’isola di Bali. Quello che troviamo, non ovunque ma a tratti, è una distesa di spazzatura, una sorta di discarica a cielo aperto in cui la gente cammina stando attenta a non tagliarsi con resti di vetro e lattine. Notiamo come i locali scartino gelati e snacks, bevano da bottiglie di plastica gettando poi tutto a terra o facendo a gara per vedere quale degli scarti sarebbe riuscito a coprire la distanza maggiore tra le onde. Nei giorni successivi proveremo a chiedere spiegazioni, ma la deludente risposta sarà “lo faccio perché lo fanno tutti”; quando chiederemo di poter buttare in un cestino delle bottiglie di plastica che avevamo con noi durante una passeggiata, ci verrà indicata la spiaggia e alla nostra espressione sconsolata verrà risposto “ma se volete fermarvi a mangiare il nostro ristorante è pulito, noi buttiamo tutto in mare”.
Bali, verso Kintamani, con qualche dollaro in meno…
Il giorno successivo noleggiamo un motorino e ci dirigiamo verso Nusa Dua, altra meta conosciuta ma molto più tranquilla di Kuta, piena di balinesi che si affiancano in carreggiata per proporre gite da loro organizzate a Turtle Island, non molto lontana dalla costa. Dopo qualche ora saremo di nuovo in hotel, ma troveremo una brutta sorpresa: il furto dei 70 dollari che avevamo nascosto in camera vista la momentanea assenza di cassette di sicurezza libere; a nulla servirà contattare i responsabili e la guardia in servizio; l’unica cosa che ci sentiremo dire è un banale “Ci dispiace, faremo di tutto perché non succeda di nuovo”. Amareggiati dall’omertà constatata, decidiamo in seguito di organizzarci per l’esplorazione del Kintamani, che avremmo intrapreso l’indomani; si tratta di un vulcano situato a circa 75 chilometri da Kuta, molto conosciuto e meta turistica affermata.