La Firenze dell’Elba
Ma eccomi finalmente a Dresda, con quel ‘ma’ che poco letterariamente vuole fungere da rafforzativo, servire a spiegare quanto anelavo vedere la capitale della Sassonia, per certo il più ‘colto’ dei regni che punteggiarono la Germania fino al XIX secolo (e forse forse sarebbe stato meglio se non si fosse realizzata quella unificazione che diede maggiore spinta e forza al nazionalismo tedesco, vedansi impero del Kaiser e Reich di Hitler). Serve poi precisare che l’antico entusiasmo per Dresda (ah, le guide la chiamano “la Firenze tedesca”) era vieppiù aumentato cinque anni fa alla notizia della avvenuta ricostruzione (con l’85% degli elementi originari!) della Frauenkirche, un’opera di raffinata architettura che, già bellissima del suo, guadagna ulteriore splendore nel superbo scenario del Neumarkt (evviva!). Con tutto il rispetto per lo Zwinger (che meraviglia quel museo delle Porcellane e gli splendidi quadri – tanta Venezia del ‘700 – della Gemaldegalerie), levato tanto di cappello alla Semperoper e ammirate le bellezze architettoniche e le collezioni contenute nella Residenz (a bocca aperta davanti alle tante opere ricavate dal cristallo di roccia) – e precisato inoltre che ci sono tante altre belle cose da vedere, financo una splendida latteria sull’altra riva dell’Elba – è però la Frauenkirche a costituire l’emblema, il simbolo di Dresda.
Thurn und Taxis: tedeschi o bergamaschi?
Visito Ratisbona alias Regensburg, opportunamente informato da un dèpliant del locale ufficio del turismo (mica si può sempre sapere tutto, ti assenti un attimo e ti sfugge lo scoop) che la città è entrata recentemente a far parte del Patrimonio dell’umanità voluto dall’Unesco. Un motivo in più per giustificare la scarpinata nel centro storico, di una città che trovandosi sul Danubio può far risalire le sue origini (come noto le Legioni raramente si addentravano oltre il grande fiume che taglia l’Europa) all’impero di Roma (Marco Aurelio). Fotografata la Porta Pretoria (e forse resta qualcosa di romano anche nel severo ponte di pietra datato XIV secolo) è il caso di visitare il castello dei Thurn und Taxis (quei principi che per il bene del ‘poppolo’ o forse soltanto per fare soldi inventarono il servizio postale e, lo dice il nome, pure le auto pubbliche). Nota a margine: durante la visita del maniero il ‘cicerone’ (sfruculiato dallo scrivente) giura che i Thurn und Taxis sono originari di Ratisbona, da cui il forte dubbio che quelli di Bergamo Alta (a loro volta proclamanti che la nobile famiglia dei taxi era orobica doc) possano essere dei grandi ‘casciaball’. Prima di entrare in Austria (mèta i Kapuziner di Vienna per il rituale saluto all’imperatrice Maria Teresa che in pochi lustri fece per Milano quanto non fecero i Savoia in quasi un secolo) sosta a Passau. Un posto delizioso, da vedere, come non può che esserlo una località in cui confluiscono (ben) tre fiumi (Inn, Ilz, Danubio). Una “delle sette città più belle del mondo”: lo disse Alexander von Humboldt, quello dell’università ammirata a Berlino, tappa del mio Grand Tour. (20/10/2011)