Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Italia allo sfascio! Ne siamo sicuri?

Treni, tram, bus e metrò affollati e affogati nello smog. Poi, sul luogo di lavoro, ecco che si entra in una bolla di positività: dovere, professionalità, ambizione in giuste dosi, stimolanti rivalità. È l’Italia che funziona

Lavori umili, grandi interpreti

Milano, una delle città dei 'nuovi italiani'
Milano, una delle città dei ‘nuovi italiani’

C’è poi il personale di supporto o di servizio: chi porta da mangiare, chi cambia lenzuola e rifà letti; chi lava e assiste i ricoverati, sempre con gentilezza e tatto; grande è l’imbarazzo di chi non è autonomo nemmeno per le esigenze più elementari. Notevole è il sollievo che prova quando scopre che chi lavora qui lo fa con impegno, serietà, cortesia, partecipazione. Educazione e cortesia riscontrabili anche nelle donne (asiatiche, africane) addette alle pulizie delle stanze e dei bagni.

Dolcissima una ragazzona della Guinea-Conakry (da non confondere con la Guinea-Bissau o con quella Equatoriale!) in Italia da dieci anni, che si illumina quando le parlo delle bellissime foreste del suo (ai più) sconosciuto Paese. Turni di lavoro lunghi e continui, oppure spezzettati nell’arco delle ventiquattro ore, con molto tempo assorbito dai trasferimenti verso casa: San Donato, Segrate, Rogoredo, i paesi sparpagliati lungo le linee della Nord. I sorrisi? Le battute salaci? Le cortesie improvvise? Sono frequenti e contribuiscono non poco ad alleggerire gli inevitabili momenti di sconforto di chi, suo malgrado, è ospite temporaneo.

Via dalle sabbie mobili

Il lavoro nella famosa immagine del film
Il lavoro nella famosa immagine del film “Tempi Moderni”

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese, sino ad assommare anni di questa vita, di questa preziosa routine.

Turni di lavoro che in certe occasioni mettono insieme un rosario di quindici, diciassette ore, ma che nel complesso registrano un andamento “sinusoidale” (guai se così non fosse!) tale da permettere alla classe medica di studiare, aggiornarsi di continuo, partecipare a convegni, pubblicare esperienze cliniche su riviste specializzate e a quella infermieristica di affinare le personali competenze. Uno spaccato d’Italia che consola e che si ripeterà (ne sono certo) all’infinito in cento fabbriche, in mille uffici, in ogni luogo dello stivale che a dispetto di tutto funziona e che, crepi lo “spread”, ci consentirà di riemergere alla grande dalle sabbie mobili nelle quali qualcuno ci ha cacciato.

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Da semplice scribacchino, ma soprattutto da puntiglioso osservatore, potrò contribuire al “mancato” italico sfascio cercando di testimoniare come tantissime realtà siano di gran lunga migliori rispetto a come il dilagante disfattismo vorrebbe farci credere che siano. Scriverne, alla fine, è l’ultimo dei problemi. Specie se, come nel caso del “mio” ospedale, c’è un ben oliato microcosmo di persone che mi aiuta a farlo.

Doctor Best, I presume …

Italia allo sfascio! Ne siamo sicuri?

Poi c’è la classe medica. In genere, chi dirige la sezione specialistica è un medico abbastanza anziano, d’esperienza. Ma quelli “emergenti” – che sono poi quelli che si fanno il mazzo più di altri – sono giovani, di età “giusta”, voglio dire. Giusta per disporre di tante doti naturali che, opportunamente miscelate, contribuiscono a creare l’eccellenza. Doti intuitive non comuni nel capire cosa non va e come porvi rimedio; manualità, e sicurezza nell’esercitarla, che consente di risolvere situazioni cliniche talvolta complicatissime; “distacco” professionale che nulla ha a che vedere con l’insensibilità; il primo è necessario per potersi concentrare sul proprio lavoro e solo su quello; la presunta insensibilità, superata la fase acuta dell’intervento, si stempera in ripetute presenze per controllare, con le medicazioni, il lavoro fatto e per informarsi su “come va”; non mancano i consigli pratici e le raccomandazioni per affrontare al meglio il “tagliando” post-operatorio.

Meglio ancora se accompagnati (i consigli) da scambi di vedute, divagazioni extra-ospedale, prove tecniche per favorire nel degente consapevolezza del proprio stato e fiducia in chi lo cura. Fiducia che può essere istintiva (è il mio caso) o acquisita, contatto dopo contatto. E ci sono anche i giovani dottori e le giovani (e belle!) dottoresse. Eleganti, precise e decise, a formare una vera squadra affiatata e propositiva.

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In sala operatoria si sente tutto; dipende dal tipo di anestesia praticato. E sentire le parole che si scambiano gli “addetti ai lavori”, intercalate da concise considerazioni sull’intervento che stanno eseguendo o da improvvise e brevi risate per qualche contrattempo di secondaria importanza che sempre capita, infonde nella “vittima” un certo senso di tranquillità. Poche le parole, silenziosi i gesti. Ravvivati dalla voce chiara e forte di una dottoressa (non so che viso abbia) che chiama tutti “amore” (faccio io, amore; passami il bisturi, amore…). Da innamorarsene; perdutamente.

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