Sabato 20 Aprile 2024 - Anno XXII

Cuba, l’isola che fu la terra degli indios

Cuba-Avana-auto

Cuba, non solo “spaghetti in Seminario”, ma anche una presa di contatto diretta e senza le distorsioni originate dai “sentito dire” e dai luoghi comuni. Magari piccole cose o fatti, ma visti e raccontati così come accadono, nella “socialista” Cuba di un Fidel che c’è e non c’è…

Le tipiche auto di Cuba
Le tipiche auto di Cuba

Nella puntata precedente cominciai col tradurre l’ermetico titolo. In riferimento a una megapastasciutta, battezzata Fidel, da me ammannita a una platea di scribi viaggiatori durante un convegno svoltosi a Cuba. Indi (a proposito di Grandes Bouffes) spiegai di cosa son capaci i giornalisti di turismo (che in cene e/o famtrips se la godono salvo poi far poca o punta rèclame all’anfitrione). E infine completai la fatica informando perché mi ritrovavo in gita nell’isola di Cuba. Una terra che fu degli Indios Taino e dei Siboney (che meraviglia l’omonima canzone di Ernesto Lecuona, ma anche le Habaneras mi commuovono).

L’Isla Grande vista con “personal eye”

Cuba Varadero
Varadero

Motivo della trasferta fu il citato seminario organizzato dall’Instituto Internacional de Periodismo “José Martí”. Escludente (ragazzi, che paciata di spaghetti si son fatti) una crisi di vocazioni gastriche. Cosa che nei seminari più celestiali sembra esistere quella delle vocazioni religiose (così, almeno, lamenta Benedetto XVI). Quel papa Ratzinger che mesi fa mi ha preceduto in una Cuba molto meno afosa. Non nell’imminenza della temporada bagnata, quella dei caraibici huracanes (beato lui che oltre a girare gratis può pure fregarsene delle stagionalità e relative tariffe, ma è anche vero che se tutti viaggiassero a sbafo il turismo faticherebbe a campare).

Passo pertanto alla narrazione di quanto visto. Una Cuba tanto disordinata quanto sommaria. Perché mi piace contarla su (e aggiungere quello che penso) senza pedissequi inventari di cose e relativi indirizzi. Perché un posto non è fatto di soli monumenti. Oltretutto il curioso lettore e l’aspirante viaggiatore li trovano elencati e descritti su internet. E anche nei dotti dèpliants dei tour operator nonché nelle guide turistiche (che sembrano tante ma in realtà solo 2 o 3 sono “autentiche” nel senso di “originali”, tutte le altre sono copiature e/o traduzioni, ma va bene così).

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Caffè di dogana e Taxi al ribasso

Casa del Vedado
Casa del Vedado

Arrivo a La Habana e ho subito conferma, se mai vi fosse stato bisogno, che il comunismo non si addice ai Paesi latini.  Almeno laddove mi riferisco a quello sovietico, serioso non meno che rigoroso, quello, per capirci, di Ninotchka. E Nemmeno a quelli che dai medesimi discendono compreso Cuba. Salvo poi chiederci che regime è quello del Fidel. Il tempo di arrivare alla dogana un filino ansioso (non si sa mai, sarà che in giro per il mondo ho sempre trovato doganieri arcigni, curiosi e pure rompiballe) e mi ritrovo due muchachas in divisa che con un allegro Hola como estàs? Mi fanno passare non senza avermi chiesto un dinerito per un cafesito (caccio un euro e proseguo).

‘Fatta dogana’ (vedi sopra) e passato bagaglio, spaghetti, pummarola e parmigiano Fidel ai raggi X (in tutto il centro sud America c’è lo scanner anche in arrivo) sbuco tra la solita gente e botteghe. Le stesse che incontri in tutti gli aeroporti (chi aspetta qualcuno, rent a car, taxisti abusivi e non, addetti al pick up di turisti e businessmen, sfaccendati). E pur sapendone poco di economia pianificata dei paesi socialisti (i compañeros doc, mica quelli italiani dell’hotel Raphael e della barzelletta del pollo) condannanti l’economia di mercato, appena a Cuba ho inconsciamente creato un caso di ‘libera concorrenza’. Ho giocato al ribasso tra due tassinari che mi chiedevano 20 pesos per portarmi in centro (ho ‘spuntato’ a 18, ma un po’ di vergogna l’ho provata e poco ha contato il commento che più che avaro ero povero).

Gringos e Compañeros, da sempre “contro”

Cuba, l'isola che fu la terra degli indios

Mi scuso per aver tediato oltre misura il cortese lettore (meglio usare il singolare, perché prima o poi un aficionado ci scappa sempre) ma la vicenda dei Cuc e dei Cub – nomi da personaggi di un film di Walt Disney – è abbastanza importante per capire quel che accade a Cuba. Ed è anche curioso scoprire che a La Habana la stessa (si fa per dire) “antipatia politica” per gli States (cordialmente contraccambiata) è riservata alla loro banconota, il sottovalutato green back.

D’altro canto se si parla di simpatia non è che nel resto del Caribe gli Usa ne godano molta (solita vicenda del capitalismo e dei pover crist). E nel non lontano Messico (poco più di 200 km, attraversando il canale dello Yucatàn sul mitico Granma Fidel e 82 suoi compañeros tornarono a Cuba a far le scarpe a Fulgencio Batista) gli statunitensi oltre che Yanquis sono pure, vieppiù spregiativamente, Gringos (da Green, divisa verde dell’esercito Usa e Go, andate, tornate a casa). Ma a imitazione del Comandante si torni nella Isla Grande, per proseguire il racconto.

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Cuba tra Cuc, Cub e Libreta

Cuba

Più complicata è risultata invece la vicenda della valuta cubana, il peso. Che poi (è qui il busillis) sono due: il “Cuc” alias peso Convertibile (cambio al mio arrivo: 0.87 per un dollaro Usa e 1.18 per un euro); e il “Cub” che forse non sbaglio battezzandolo “l’altro peso”, datosi che (se ho ben capito) il Cuc dovrebbero spenderlo i turisti mentre il Cub dovrebbe essere riservato ai cubani. Uso il condizionale perché mi sembra di aver visto in giro molti ‘locali’ spendenti (e cambianti) i Cuc.

Trattasi, così mi han spiegato, dei tanti (fortunelli) che bazzicando nel turismo non se la passano male. Di cui a quella barzelletta dell’ex generale che dopo aver trovato un posto di facchino d’albergo vive finalmente alla grande. Ma mica tutti possono trovar posto in quella che fa chic definire “l’industria senza ciminiere” (appunto il turismo). Per quei tanti, anzi tantissimi che i Cuc manco li vedono (e possono solo campare coi Cub) lo Stato interviene fornendo productos subsidiados in negozi forse non molto forniti ma dai prezzi assolutamente ‘sfamanti’ (basta mostrare la libreta de abastecimiento, alla cui vista m’è venuta alla mente – ahimè più che vecchio sono antico – la bellica tessera annonaria).

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