Le zone dei ricchi: bianchi e neri
Un’’atmosfera completamente diversa si respira a Rosebank e a Observatory, con le belle case circondate da giardini verdissimi, abitate non più solo dai bianchi ma anche dai neri benestanti. Oppure a Sandton, con il più grande shopping center di tutta l’’Africa e nell’’elegante ed esclusivo quartiere di Houghton, nel quale si trasferì Mandela dopo aver lasciato Soweto. O ancora a Yeoville, con le case colorate, i caffè con i tavolini all’’aperto, i negozi e il mercatino. Alexandra è una sequenza infinita di villette con giardino, di eleganti shopping center, di ristorantini etnici, di locali afro-jazz dove nasce la musica di tendenza che approderà nelle discoteche più “in” di Londra e di New York. Forse Johannesburg non è una città, ma tante città insieme, collegate tra loro da interminabili highway.
Dalla sommità del Carlton Centre, con i suoi cinquanta piani occupati da negozi, alberghi e uffici, fino alla galleria d’arte dell’’ultimo piano, la vista spazia ad abbracciarla tutta: dalla ricchezza dei palazzi che ospitano gli uffici di banche e società minerarie si passa agli edifici fatiscenti, alle baracche senza luce né acqua, alle sterminate township fatte di lamiera e di cartone. In un certo senso, l’’intera Johannesburg è ancora articolata in ghetti: quelli per i bianchi e quelli per i neri; quelli per i ricchi e quelli per i poveri.
La Casa di Diamante e le “farmacie” locali
C’è un angolo della Downtown, all’’incrocio tra la Diagonal e Pretcher Street, che forse meglio di ogni altro riesce a riflettere i contrasti di questa metropoli unica al mondo.
Da un lato, il modernissimo palazzo di vetro da tutti conosciuto come “The Diamond Building” che sembra un monumento alla potenza del denaro: appartiene alla società Anglo-American, della quale fa parte anche il gruppo De Beers, il maggiore produttore di diamanti del mondo. Svetta verso il cielo e con le sfaccettature delle sue cinquantasei facciate vuole appunto ricordare la preziosità del diamante.
Sul lato opposto, un grazioso edificio di fine Ottocento con il ballatoio di ferro battuto bianco e verde ha la grazia di un merletto.
Camminando per le vie del centro, tagliate ad angolo retto come quelle di New York, si incontra quasi esclusivamente la popolazione nera: le donne con le sottane multicolori e i tipici copricapo annodati e i ragazzi fermi davanti ai banchetti improvvisati lungo le vie, dove le radioline sono vendute accanto alle radici vegetali e alle galline bianche contro il malocchio. Ma ci sono anche i grattacieli splendenti delle banche di Commissioner Street, gli eleganti edifici delle società aurifere.
E poi c’è Soweto (South West Town) che è diversa da tutto il resto perché qui è racchiusa non solo la storia di Johannesburg, ma di tutto il Sudafrica. Qui vivevano i neri che potevano lavorare in città, ma non dormirci. E da qui, il 27 aprile del 1994, Nelson Mandela pronunciò parole che entrarono nella storia: “Oggi – disse – è un giorno come nessun altro”. Dopo oltre cinquant’anni di apartheid, da allora per il Sud Africa ebbe inizio una nuova era. (12/10/2012)
Rivale di Città del Capo
Certo non si può giudicare Johannesburg una bella città nel senso classico del termine. Da sempre in contrapposizione con Città del Capo, fa la figura del brutto anatroccolo, senza la spettacolarità della baia e l’’imponenza della Table Mountain a due passi dalle spiagge. Non può vantare un centro storico, né palazzi antichi, né vedute entusiasmanti. Ma a 1700 metri di altitudine gode di un clima invidiabile e, nella zona settentrionale, è un’’immensa città giardino, con sobborghi residenziali più esclusivi di Beverly Hills e il record assoluto in fatto di percorsi golfistici, con ben ventisei campi perfettamente curati.
Difficile definire Johannesburg, perché cambia fisionomia ad ogni strada e in pochi anni si trasforma: Hillbrow è stato il primo quartiere dove bianchi e neri hanno cominciato a lavorare insieme, ma oggi è completamente degradato e considerato “a rischio”, anche se rimane uno straordinario punto di osservazione per capire l’’essenza di questa metropoli così esotica e viva. Proprio a Hillbrow sorge uno dei simboli più tristi del passato regime dell’’apartheid: l’’enorme prigione dove venne rinchiuso anche Mandela.