Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

Dritta al cuore di Dublino

Dublino

Un aereo andata e ritorno e il tempo per immergersi, spirito e corpo, nelle magie di una capitale da sempre speciale. Si parla inglese, ma lo spirito gaelico è ovunque, specie nei suoni: musica e voci

Dublino Il Penny Ha'Bridge
Il Penny Ha’Bridge

Vedo i fiocchi di neve scendere sulle mie scarpe da ginnastica; fa troppo freddo a Dublino per alzare il viso e lasciarlo scoperto dal risvolto del cappotto e dalle pieghe della sciarpa che lo avvolgono. Lacrime di ghiaccio mi bagnano il viso arrossato senza che possa fermarle a conseguenza dall’inaspettato vento gelido. Andando verso St. Anne’s Road, attraverso un ponticello che passa sul fiume Liffey: ovunque vedo insegne di pub illuminate e qualche temerario che sosta fuori, chiacchierando.

Mi aspettavo che il tragitto in bus fosse più lungo, ma in dieci minuti raggiungo la zona del mio bed&breakfast, a due chilometri dal centro. Sbalordita quella noto che tutte le ragazze indossano una canotta e degli slip neri, lavorati a mò di cortissimi pantaloncini. Non me lo spiego, tacchi altissimi, gambe scoperte e un giaccone a coprire la pelle d’oca; mentre io lotto impotente contro il freddo senza un centimetro di pelle nuda.

Giovani dai bollenti spiriti

Dublino Un classico "irish": la musica nei pub
Un classico “irish”: la musica nei pub

Martin, il proprietario, mi accoglie appena arrivata, mentre la neve si trasforma in pioggia leggera. È quasi mezzanotte, ma non sembra stanco. Mentre apre la stanza mi intrattiene in una conversazione di una ventina di minuti. Il suo accento irlandese marcato è meno chiuso di quello ascoltato tra l’ufficio informazioni in aeroporto e il bus; Dùblin, bùs, sùn, sono tutte parole la cui pronuncia si allontana dall’addolcimento dell’inglese standard, restando vagamente più rude e gutturale. Mi consiglia di fare un salto in un pub poco distante. Il pub è diviso in due sale, la prima più tipica e animata da folk music, la seconda con bar e discoteca.

Seguo le indicazioni del buttafuori e scavalco un gruppo di giovani rissosi a mezze maniche a cui è stato rifiutato l’ingresso; una Guinness è d’obbligo, e l’assonnato barista la spina con disinvoltura mentre rivolge gli occhi arrossati alla partita sullo schermo. Non c’è musica, in compenso si sente distintamente quella proveniente dal retro; un continuo viavai di ragazze in pantaloncini e ragazzi in maglietta anima la sala vuota; le prime traballanti sui tacchi ma sempre con qualcosa da bere in mano; urlanti, con le calze smagliate e il trucco sbavato, i secondi ad accompagnarle più o meno cavallerescamente. In discoteca i flash illuminano scheletri, streghe, zucche e ragnatele, tra cui i ragazzi si divertono ballando: Halloween è festeggiato in anticipo a Dublino, e a quanto pare la celebrazione e le feste non termineranno che la settimana successiva.

Dublino, una capitale a misura di piede

Dublino Il mitico Temple Bar
Il mitico Temple Bar

Il sabato si apre più terso che mai, con un cielo azzurrissimo e soleggiato; il freddo entra nelle ossa, ma sfilo di casa in casa verso il Botanic Garden. Ogni finestra, ogni negozio, ogni giardino ricorda Halloween; o per lo meno dà la vaga impressione di sentire la ricorrenza. Ricorrenza trasformata in festa dai bambini mascherati, i piccoli artisti che hanno decorato le decine di zucche esposte all’orto botanico. La visita è più interessante di quanto mi aspettassi, ed è piacevole sostare nelle serre riscaldate ammirando la bellezza delle piante in fiore. Fuori le papere nuotano infreddolite nello stagno. Dublino è una città facilmente visitabile a piedi, non essendo troppo estesa, ma questo costa diverse ore di cammino: lasciati i giardini alle spalle, mi dirigo verso il centro e circa un’ora dopo raggiungo la via centrale, brulicante di negozi e vita.

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Il puntale che si trova ad una delle estremità, una scultura di metallo alta un centinaio di metri, funge da punto di riferimento; nonostante qualche minimo decoro natalizio in anticipo sui tempi, è sempre Halloween. Lo dimostrano le decine di persone che tentano di entrare nei negozi di maschere e travestimenti, in coda, sui marciapiedi. Simpatici spauracchi alle finestre osservano la strada con i loro occhi dipinti, mentre camminando raggiungo la zona di Temple Bar, l’area di locali storici, birrerie, pub e ristoranti, con l’immancabile Hard Rock Café; se il cuore ricorda vagamente il Medioevo, con la strada ciottolata e locali dall’aspetto volutamente vissuto, il resto mi lascia piuttosto indifferente, quindi proseguo verso il famoso Penny Ha’Bridge, uno dei ponti storici che attraversano il fiume Liffey.

Nei meandri del Trinity College

Il Trinity College
Il Trinity College

Dopo aver osservato la Customs House ed i vari edifici del centro, è la volta del Trinity College; nell’androne buio ma ampio primeggia una bacheca con gli avvisi colorati degli studenti, libri in vendita e partnership linguistica sembrano essere il tema principale. Superato il corridoio d’ingresso esterno si apre il cortile, circondato da edifici grigi ma maestosi, rallegrati per l’occasione dagli abiti colorati degli ospiti di un matrimonio appena celebrato. Subito dopo, un arco introduce nel parco antistante gli alloggi per studenti; una ragazza cinese cammina tranquilla nel sabbioso vialetto parlando al cellulare nella più familiare lingua madre. Continuo a muovermi da un punto all’altro della mappa che ho sottomano, cercando di non perdere nulla di ciò che la città ha da offrire, e mi imbatto in un folto gruppo di giovani modelli fuori dal negozio di Abercrombie&Fitch.

Tutti sono vestiti allo stesso modo, e si divertono a farsi fotografare dai passanti; mentre i colleghi, sparsi sulle tre terrazze del palazzo, ne attirano l’attenzione, ridendo e urlando. È poi la volta dell’imponente Cattedrale di St. Patrick, e del castello, piccola città nella città, purtroppo già chiusa alle visite e ammirata solo dall’esterno. Di tanto in tanto entro in qualche souvenir shop, attratta dai colori dei mille gadgets più o meno utili sugli scaffali. Scopro la grande varietà dell’onnipresente sezione dedicata alla birra Guinness, uno dei simboli della capitale.

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Zuppa di zucca con pane alla birra

Dublino

Il pomeriggio passa rapido, e sfidando il freddo torno in hotel per poi perdermi tra i sobborghi e provare l’esperienza di un vero Dublin taxi ride. La meta è un ristorante del centro, prenotato qualche settimana prima: è la dining week a Dublino, un evento celebrato due volte l’anno, e durante il quale ogni ristorante aderente propone menù a prezzi ridotti, in genere dai 10 ai 30 euro a persona. La scelta di locali è vastissima e diversificata, e se ne trova un elenco sui siti web dedicati; la città celebra l’occasione affollando i ristoranti, quindi è meglio prenotare in anticipo se si è scelto un posto in particolare. Dato l’enorme numero di strutture è comunque impossibile rimanere senza un tavolo, se ci si accontenta dopo avere rimandato la scelta all’ultimo.

Varco la soglia e la prima cosa che noto è la folla di clienti che si stringe ai tavoli e crea un insieme un po’ caotico nella penombra del ristorante abbastanza raffinato, con i camerieri visibilmente in difficoltà nella sfilata tra i tavoli. Raggiunto il mio posto, dò subito un’occhiata alla carta della dining week, che propone gli stessi piatti dei veri menù ma ad un terzo del prezzo; resto molto soddisfatta dell’esperienza, ottimo cibo e presentazione coreografica dei piatti, porzioni abbondanti, con l’unica pecca del servizio, molto lento e non troppo cortese. La vera scoperta è stato per me il Guinness bread, il cui impasto è preparato con la famosa birra scura, ad accompagnare una calda zuppa di zucca; morbido e dal sapore di castagne, è delicato ed ottimo anche con del burro caldo spalmatovi sopra.

Guinness, orgoglio d’Irlanda

Visita alla Guinness Storehouse con i simboli della celebre
Visita alla Guinness Storehouse con i simboli della celebre “scura”

La mattina seguente è totalmente dedicata alla visita dello stabilimento Guinness:  la giornata è uggiosa e scura, attraverso la città sotto l’ombrello e seguo le mantelle colorate degli altri turisti nell’ultimo tratto; senza rendermene conto entro in un mondo quasi parallelo, una città-fabbrica dal sapore ottocentesco, con strade interne non del tutto pavimentate e su cui passano poche auto e camion cisterna. L’interno è invece molto moderno; dopo la fila per il biglietto di entrata, dal costo non indifferente di 16 euro, si è circondati da vetro e metallo, poche sale escluse: il “museo” visitabile non è altro che un enorme bicchiere di sette piani, modellato secondo la classica forma di una pinta di Guinness.

Non ci sono accompagnatori, ma avendo il tempo per la seconda lunghissima fila si può richiedere l’audioguida gratuita; riluttante a spendere un’altra ora in attesa, passo rapidamente il souvenir shop del primo piano, e mi incuriosisce l’ enorme pergamena che alcuni visitatori stanno osservando: si tratta del vecchio contratto di locazione, inserito nel pavimento sotto una lastra di vetro, firmato il secolo scorso dal fondatore dello stabilimento e con validità di ben 9.000 anni: la Guinness sarà l’orgoglio degli abitanti di Dublino ancora per lungo tempo.

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La birra e la sua produzione

Salendo da un piano all’altro si trovano le diverse fasi di produzione della birra, i vecchi macchinari, le botti, gli schizzi dei primi manifesti e le pubblicità, insomma la storia di un pezzo d’Irlanda; non manca la degustazione al quinto piano, né la pinta che è possibile richiedere al bar del top floor consegnando il biglietto d’ingresso. Dalla vetrata riesco a dare uno sguardo d’insieme alla città; avvolta nella nebbia umida e bagnata da una pioggia sottile sembra completamente a suo agio, con sprazzi di verde che la ravvivano qua e là.

Graffitti (e visioni) a Dublino

Windmill Lane Studios a Dublino
Windmill Lane Studios a Dublino

Sulle ampie carreggiate svettano numerose chiese, a differenza delle nostre, che in genere si trovano raccolte in piazzette nel centro dei paesi o dei quartieri di città; mentre ne osservo una noto un curioso negozietto, metto da parte l’ombrello ed entro. Imbocco un corridoio che sembra l’esposizione di saltimbanchi d’altri tempi, che offrono merce svariatissima, divani, tavoli, vestiti usati, CD, televisori; molti indossano costumi, altri sono abbigliati con un curioso stile che mescola il medievale al barocco seicentesco tra gli sbuffi d’Ottocento. Tra un banco e l’altro, un filo d’aria soffia da una porta antincendio dipinta di nero; mi avvicino, per sbucare in un cortile enorme ma vuoto, con tutti i muri, le pareti delle case che vi si affacciano, le salite e discese decorate con graffiti colorati, che rompono il grigio degli edifici e delle vecchie chiese, un’isola di colore tra il cemento e la storia.

Mi lascio prendere dal fare variopinto delle famose porte di Dublino, gli ingressi colorati delle abitazioni tanto famosi da venire riprodotti su souvenirs e cartoline; qualche foto, e sono di nuovo in aeroporto, fortunatamente in anticipo, date le due ore necessarie alle procedure di imbarco, con un fiume di gente in attesa di volare. Un ultimo sguardo tra le fitte maglie del folklore irlandese ancora vivo in me, e una coperta di nubi avvolge i miei freddi giorni nella capitale dal cuore caldo.

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