Dista un’ora scarsa da Milano e venti minuti dalle colline. Vanta arte, storia e un’ottima cucina. Tutte caratteristiche che potrebbero bastare a fare di Piacenza il posto migliore dove vivere. Eppure Daniele Ronda, giovanissimo cantautore che da qualche anno si esibisce in dialetto piacentino (e per questo è già stato definito l’erede di Davide Van De Sfroos) per amare la sua città se n’è dovuto allontanare per un po’ di tempo, complice la musica, per poi dire: solo qui mi sento a casa. Dopo dieci anni passati a Milano a scrivere e arrangiare successi per altri (soprattutto per Nek con cui ha vinto il Festivalbar scrivendo Lascia che io sia) Daniele Ronda, a 27 anni, ha deciso di tornare a vivere a Piacenza e intraprendere una nuova carriera. Il ritorno a casa, alle radici, alla sua città segna e influenza indelebilmente il suo nuovo percorso professionale: nasce Folklub, incide Daparte in Folk (Premio Mei come miglior progetto musicale in dialetto dell’anno) e il nuovo La sirena del Po, con cui è attualmente in tour in tutta Italia ed Europa.
Ci racconta Daniele Ronda in occasione dell’uscita di La sirena del Po, il suo nuovo album: “A un certo punto della mia vita, Piacenza l’ho sentita stretta e così mi sono trasferito a Milano. Non vedevo però l’ora che arrivasse il giovedì o il venerdì sera per farvi ritorno, rivedere la nebbia (quella piacentina è diversa da quella milanese), le facce delle persone che conoscevo, i luoghi a me cari. Solo allontanandomene ho scoperto che tutte queste cose erano per me un punto di riferimento”.
Cosa si nasconde dietro il titolo La Sirena del Po?
È un invito al campanilismo, ad amare la propria terra. Chi l’ha detto che una sirena si possa trovare solo nel mare? Il confine fra i pazzi e i sognatori è sottilissimo. E magari a non credere che ci possa essere una sirena nel fiume si rischia di perdere qualcosa.
Nella canzone Al Rolex parli delle cose che ami e non sopporti della tua città. Di che si tratta?
Parlo del pettegolezzo, della tendenza al pregiudizio, dell’invidia che sia chiaro, non tutti hanno, ma è presente e credevo appartenesse solo ai piccoli centri urbani. Poi nel 2005 mi è capitato di andare a vivere a Los Angeles e nonostante mi trovassi in una grande città mi sono reso conto che la vita della provincia non è poi tanto lontana da quella della metropoli.
Per Nek e altri artisti hai scritto tantissime canzoni. Cosa ti ha spinto a scendere in campo?
Ho avuto l’onore di lavorare con molti grandi artisti. Quando ho deciso di smettere è stato perché non avevo più voglia di essere solo un sarto e avevo l’esigenza di dire quello che volevo in maniera diretta. Scrivere un pezzo per un altro artista è come cucire un vestito con il tuo stile, e sapere che sarà indossato da un’altra persona.
Perché hai scelto di cantare in dialetto?
Diciamo che la mia vita va di pari passo con la musica. Quando ho scoperto quanto fosse importante la nostra storia, le nostre origini, il folk mi è sembrato il genere di musica che meglio rappresentava questa mia esigenza. Il dialetto è poi una forma di comunicazione e a me viene spontaneo raccontare certe cose in dialetto e altre no.
Davide Van de Sfroos, il cantautore “lagheè”, dice che la tua forza è l’essere credibile in quello che fai. Che ne pensi?
Lo ringrazio. Credo che una delle mie esigenze più forti sia di raccontare la verità nel bene e nel male. Ma in fondo ci deve essere sempre il sogno, la speranza di farcela.
Com’è il dialetto piacentino?
Ha colori particolari, per certi versi ha molto di emiliano e un pizzico di lombardo. Ha parole che sembrano addirittura arrivare da un’altra parte. È anche genuino e spontaneo. Io lo ho riadattato ai tempi miei. Del resto non dimentichiamoci che il dialetto è una lingua viva che muta col passare del tempo.
Ci puoi suggerire un itinerario nella tua città con La sirena del Po a farci da colonna sonora?
Vi porterei nel centro di Piacenza a vedere Piazza Cavalli, il Duomo e il Palazzo Comunale detto “Gotico”. Poi vi accompagnerei in giro per tutta la Val Trebbia, a Bobbio e su e giù per le montagne piacentine. Da vedere anche il Castello di Rivalta, il Castello di Rezzanello, le colline piacentine, la Val Tidone famosa per i vini. Alla fine vi consigliere di fermarvi in qualche trattoria tipica per scoprire i sapori della nostra cucina.
Come mai ha presentato La sirena del Po proprio a Parigi?
Semplicemente perché siamo stati invitati dalla comunità piacentina che vive lì e che ci ha riservato un’accoglienza strepitosa. Dopo il concerto ci hanno ringraziato e ci hanno detto che sentirci è stato come un ponte con casa loro.
Lo scorso primo dicembre al Palabanca di Piacenza hai trionfato. Ma giocavi in casa. Come ti aspetti di essere accolto altrove?
Questo concerto l’avevamo preparato per mesi e tutto è filato liscio. È stata una di quelle serate che ricorderò per molto tempo anche perché nella mia città ho trovato un grande affetto. Ora posso veramente dire che questa è la mia casa, la mia base. Il tour toccherà zone dove abbiamo già suonato e altre dove andremo per la prima volta. Sono curioso di scoprire come verremo accolti.
Il tuo lavoro ti porta a viaggiare molto. Nei tuoi spostamenti trovi spunti per le tue canzoni?
Viaggiare mi ha arricchito molto e mi fa dire che l’Italia è il paese più ricco di differenze che a mio avviso non dividono, ma anzi arricchiscono.
Se tornassi indietro rifaresti tutto uguale o ti dedicheresti subito al cantautorato?
Sì, direi di sì. Rifarei tutto anche se ci sono sbagli che non ripeterei. Ma se commetterli mi ha portato a questo, li rifarei tutti.
Nel brano L’Irlanda parli del viaggio come escamotage per allontanarsi dai problemi e illudersi che al nostro ritorno non ci siano più. Ti è mai capitato?
Mi è capitato spesso e sento che succede a molti. In realtà i problemi ti aspettano a casa seduti sul divano. La cosa certa è che da un viaggio si torna sempre arricchiti, con una consapevolezza e un’esperienza che magari ci aiuterà a superare i problemi che pensavamo di esserci lasciati alle spalle.
Che cos’è che per te non ha prezzo?
Ci sono tante cose. Un sogno, un progetto non hanno prezzo. Bisogna sempre voler realizzare qualcosa perché dà un grande senso a quello che si fa.
Ci vuoi parlare delle immagini che compaiono nel booklet del cd?
Sono immagini di un’artista americana, una certa Mary Michael Shelley, in cui mi sono imbattuto casualmente mentre giravo su Internet e che raffiguravano fra l’altro anche una sirena. È stato come un segno del destino: la stessa intuizione a più di 6000 km di distanza! Dopo averla contattata è rimasta anche lei entusiasta dell’idea di abbinarle alla mia musica. Spero si possa rifare in futuro, anche perché tutto ciò che è grafica e immagine mi stimola moltissimo.
(28/01/2013)
Info: www.danieleronda.it