Di “Lincoln”, la pellicola di Spielberg sugli ultimi mesi di vita del Presidente americano, si è parlato molto prima e durante l’uscita nelle sale. Il film magistralmente interpretato da Daniel Day-Lewis ha acceso il dibattito tra i cultori di cinema e storia della politica: c’è chi ha apprezzato la ricostruzione storiografica, individuato errori o colto la retorica del cliché.
Il regista conduce lo spettatore nel bel mezzo del travaglio della Guerra di Secessione tra Nord e Sud degli Stati Uniti: la “Storia” si muove lungo le direttrici di un percorso in cui si intersecano le vicende politiche e militari di città sconvolte da tensioni diverse.
A Washington D. C., il carisma del Presidente Lincoln è tanto più osteggiato e vilipeso dai senatori democratici, quanto più acclamato dalla gente comune ed esercita il suo potere all’ombra della cupola del Senato (tradizionalmente chiamata “The Capitol”), dove per un’ironia della sorte si possono vedere, in un quadro di Gibson incentrato sulla guerra contro il Messico, il tenente Grant e il tenente Lee che combattono fianco a fianco.
Politica e bombardamenti
Vicino al “Capitol” c’è il Lincoln Memorial dove troneggia la grande statua, opera di D. C. French (ma eseguita dai f.lli Piccirilli), del Presidente forse più amato dal popolo ma anche lui ucciso, come J. F. Kennedy, la cui tomba si trova poco distante nel cimitero militare di Arlington.
Proprio di fronte al Senato e vicino al Mall, il lunghissimo parco verde che richiede una passeggiata di 5 chilometri. In lontananza si vede la Casa Bianca, raggiungibile risalendo la 17th St.
Nel film di Spielberg, il Presidente Lincoln si dimostra più che un autocrate, come lo definiscono i suoi detrattori, un fine politico e un ironico affabulatore che usa l’aneddoto come metafora o pietra di paragone per definire una strategia, una direzione da seguire.
I suoi racconti sono pervasi da una bonomia che si accompagna a uno sguardo faceto e complice che coinvolge i suoi collaboratori. Ma, ben altrimenti, là dove si scontrano le forze in campo e nel sangue misto a fango le divise si confondono, le città sono martoriate da possenti bombardamenti.
Per conquistare New Orleans bisogna vincere la resistenza di Fort Jackson e Fort Philip che controllano le vie di accesso alla città, così la mattina del 18 aprile 1862 la flotta dell’Ammiraglio Farragut comincia un martellante bombardamento che si protrae incessantemente per cinque dolorosissimi giorni di fiamme e devastazione.
Il cammino verso l’abolizione della schiavitù
Gli avamposti cadono il 24 aprile e la strada per la caduta di New Orleans è ormai aperta. Le truppe unioniste percorrono le vie del French Quarter, ancora oggi famoso come crogiuolo di razze e ritmi diversi: afrocubani, spagnoli e creoli.
Le sue case in stile coloniale con i balconi in ferro battuto lo rendono affascinante e misterioso, specie dove sopravvivono le credenze del “Voodoo” ed esiste ancora un luogo, il Voodoo Spiritual Temple, in cui si compiono riti di magia bianca e nera.
E là dove il generale Grant poneva le condizioni della resa del Sud, all’interno di un battello a ruota, si potrà rivivere lo spirito blues del Mississippi con musica live a bordo, mentre il Garden District affascinerà il viaggiatore più raffinato con le sue eleganti dimore vittoriane.
Passeranno altri anni prima della fine del conflitto e nel frattempo Lincoln riuscirà con intelligenza, carisma e giochi di potere (senatori democratici comprati con cariche prestigiose) a far approvare il 13° emendamento e abolire la schiavitù, diventando il simbolo più alto della lotta per l’uguaglianza della razze.
Tutto il film si muove tra i luoghi deputati alle controversie fra partiti e gli ambienti più intimi della vita familiare, pervasa dalla cupezza della moglie stravolta dalla morte del figlio perso in guerra e dalla necessità di Lincoln di non desistere dal suo impegno civile.
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