Fra le insidie del Malayalam
Nel Kerala, Cochin (vecchia denominazione, coloniale, come Bombay adesso Mumbay) può vantare Business (il porto, vedi Vicenda 2 Marò) e Storia (Portoghesi, ‘500 e ‘600, e Olandesi, ‘700) mentre l’ex Trivandrum (respirato profondamente provo a scrivere il nuovo nome: Thiruvananthapuram, beninteso proseguirò con il nome più famigliare alla Regina Victoria) è capitale dello Stato e quindi profuma più di British Empire. Ma se si parla di genti che hanno risieduto a Cochin la palma della durata spetta agli Ebrei, probabilmente (avverbio, se si parla di Storia, da usare con maggior frequenza) giunti ai tempi del Re Salomone (forse meglio riferirsi al 1° secolo d.c.). Più precisamente, è datata 1568 la sinagoga Pardesi (foto dell’interno su richiesta: che bello trasgredire i divieti ancorché senza poter usare il flash) e la bellezza di certi dettagli (candelieri dal Belgio) è ridicolizzata dalla magnificenza del pavimento: piastrelle decorate a mano, a Canton, Cina (e bravi gli Ebrei di Cochin, che – informa wikipedia – vestivano all’indiana e parlavano il malayalam, la dravidica lingua del Kerala).
(30/05/2013)
Cochin tra acqua e terra
Cochin è infatti una città che vale una visita e comunque ti fa passare del tempo … fosse solo per tentare di capire come cavolo è fatta: tra il mare e la terraferma una confusione tremenda di penisole (Mattancherry, ma vai a sapere, ci vuol poco ad aprire un canale) o isole (Willingdon Island), corsi d’acqua, lagune (però chiamate laghi) pochi ponti percorsi da un traffico viepiù incasinato dallo stop per il pagamento del pedaggio. E’ solo l’antipasto di quel menu di Acqua e Terra servito nelle quasi infinite Backwaters, una esclusiva nonché gran bel fiore all’occhiello del Kerala, quindi eccellente appeal turistico che commenterò nel prosieguo di questa gita in India.