Sono atterrata all’aeroporto di Buenos Aires, è primavera, il sole scalda il mattino e lascia presagire una giornata calda e umida sulla città, meglio così visto che amo il caldo. Meglio così visto il numero di giardini e angoli colorati che si contano in città. La guida mi aspetta nella hall dell’albergo, si chiama Ignazio e coincidenza vuole che si stia laureando in storia contemporanea e che il suo prossimo esame sia sulla storia contemporanea dell’ Argentina, la fortuna mi arride. Inizia da qui il mio breve ma intenso cammino: da Buenos Aires alla Patagonia, a sud fino alla Terra del Fuoco, per poi risalire a est verso i grandi ghiacciai andini e in ultimo a nord, nella foresta, a Iguazù.
Le cascate I-Guazù tra le sette meraviglie del mondo naturale
Una leggenda guaranì narra che I-Guazù è opera di un dio geloso di una fanciulla chiamata Naipù che viveva sulle rive del fiume e della quale si era innamorato. Naipù gli preferì un mortale e se ne andò con lui in canoa lungo il fiume e il dio infuriato, creò le cascate per fermarli. Ed è famosa la frase di Eleanor Roosevelt quando le vide: “Povero Niagara” esclamò. Furono scoperte da Alvar Núnez Cabeza de Vaca nel 1541. Le scoprì per caso, chiamandole Saltos de Santa Maria e rimasero confinate nell’oblio fino al 1863 seppur conosciute dalle popolazioni indigene e dai gesuiti. Iniziarono a diventare meta di escursioni turistiche nel 1898. Nel 1934 divennero Parque Nacional del Norte. Ora sono una delle sette meraviglie del mondo naturale. Ottanta metri di salto alla Garganta del Diablo il punto più alto e impetuoso delle cascate che si allargano su di un fronte di duemilasettecento metri, duemila metri cubi di acqua al secondo di media che variano col variare della pioggia: se piove molto il fiume porta anche ventimila metri cubi di acqua al secondo, se non piove le cascate scompaiono come è già accaduto in anni di siccità. Iguazù è l’ultima tappa, rimarranno un ricordo indelebile e una delle cose più belle che io abbia mia visto.
Argentina: l’infinito della Patagonia
L’ Argentina: persone gentili e garbate, paese immenso, grande e gentile, che ospita l’infinito della Patagonia, la perfezione scultorea del Perito, la nascita delle balene franche e l’essenza della bellezza nelle cascate. Ancora oggi, nonostante una crisi economica che denuncia errori gravissimi del Fondo mondiale internazionale che rende la vita un po’ più difficile, è terra di mille e mille viaggi ancora, iniziati lontano e approdati in questa terra, diventata così culla di sogni immersi in una natura che mostra tutte le facce di Dio. Con Ignazio cammino dall’albergo alla Casa Rosada e mi mostra una metropoli dai viali larghi, una città piena di respiro e adagiata sul fiume più largo del mondo, il Rio de la Plata. È così largo che non si vede l’altra sponda. Il delta del fiume accoglie questa immensa città di oltre 3.000 chilometri quadrati, che conta, tra la provincia e la città di Buenos Aires tredici milioni di abitanti. Con Ignazio visito alcuni dei luoghi più significativi e mi accompagna, con le sue parole, nella storia del paese, dal peronismo e le sue contraddizioni alla dittatura dei generali e alle imminenti elezioni del Parlamento.
Mi racconta dell’esilio di Perón in Spagna, ospite di Franco; mi spiega il latifondismo ancora così diffuso; mi aggiorna sulle imminenti elezioni del Congresso, ossia il Parlamento, e degli scandali che stanno travolgendo la ‘Presidenta’ Cristina Kirchner. In qualche ora mi dipinge l’affresco di un paese immenso e variegato, in piena crisi economica dopo il crollo del 2001, quando l’Argentina, primo paese al mondo ha dichiarato fallimento. Dopo di allora si è creato un sistema finanziario parallelo e al cambio ufficiale si è affiancato un cambio nero. L’euro e il dollaro al cambio nero procurano una quantità di pesos che ti fa sentire un nababbo, laddove gli argentini non possono acquistare moneta straniera e tanto meno fare pagamenti esteri se non con procedure complesse. Questo è un primo elemento che segna il polso della crisi e le difficoltà che il paese sta ancora affrontando. La ‘Presidenta’ ha perso una grandissima fetta di consenso a differenza del primo mandato quando era stata eletta con un numero di consensi altissimo, il Presidente, Nestor Kirchner era appena morto e la Presidenta sembrava all’altezza della situazione.
Sono nel quartiere Boca, sto camminando verso il fiume al termine del Caminito e le case custodiscono ancora le storie dei loro padroni con pervicace gelosia e con la cura di una madre. Sussurrano, attraverso i colori, la storia dei loro padroni partiti da altre case in città lontanissime dove si respirava il gemito di dolore per un abbandono mai voluto ma necessario, da chi con amore e cura le abitava prima di andare alla fine del mondo. La popolazione era soprattutto di origine genovese e gli abitanti utilizzavano i fondi di vernice con le quali si pitturavano le navi in rada per verniciare le facciate delle loro nuove case, fatte di legno e un pochino sbilenche. Questo porto immenso galleggia sul fiume Plata color fango, color della terra, che denudata dagli alberi, dona pezzi di sé ed è così per tutti i fiumi che vedrò in successione durante il mio viaggio, raccolgono moltissima terra dall’Amazzonia con ripercussioni sull’equilibrio ecologico della regione. Con Ignazio ci fermiamo al famoso Caffè Tortoni, caffè storico, luogo di incontro di numerosi artisti e di personalità famose e la sera frequentato dai tangueros. Ricorda molto le nostre pasticcerie di provincia dal sapore antico e sorseggiando un caffè, festeggiamo il mio viaggio e le tartarughe che placide nuotano nello specchio d’acqua dove finisce il Caminito: Ignazio è stupefatto, è la prima volta che vede un essere vivente in quelle acque. Ci salutiamo con scambio di indirizzi e titoli di libri sul peronismo e Evita, domani sarò a Trelew e da lì la Penisola Valdes e i suoi abitanti: pinguini, leoni marini e balene. La prospettiva di ciò che vedrò l’indomani mi accompagna al sonno e la sveglia alle quattro e mezzo del mattino non mi dispiace per nulla. Trelew, la porta della Patagonia terra mitica, così lontana, così vasta, così piena di luce. Il freddo è intenso, portato da un vento che non smette mai, proveniente dalle Ande ad ovest, che lascia tutta la sua carica di umidità sul versante cileno di tali montagne per soffiare secco e freddo in Argentina. L’Argentina me la immagino come una vecchia dama nobile e scaltra che ha visto tantissimo e che dietro a un carattere duro e deciso, nasconde una sensibilità profonda e generosa. Me la immagino come una vecchia dama che offre la sua casa ricca di bellezze naturali inimmaginabili. È grande sette volte l’Italia, raccoglie in tutto circa quaranta milioni di abitanti e spazia dal clima subtropicale della regione a nord di Misiones al clima antartico della Terra del Fuoco.
Penisola di Valdés
Nella Penisola Valdés da febbraio a novembre si possono trovare le balene che vengono a partorire e a nutrire i piccoli per poi lasciare la costa e iniziare il lungo viaggio in mare aperto verso l’Antartico durante la stagione estiva, mare che a quel tempo è ricco di krill. Si tratta dalla balena franca australe, un animale estremamente docile e curioso, caratteristiche che l’uomo ha sfruttato per cacciarle indiscriminatamente fino agli anni settanta portandola sull’orlo dell’estinzione. A oggi sono salvaguardate ma vi sono altre insidie che ne minacciano la sopravvivenza: l’inquinamento, la caccia da parte delle baleniere giapponesi, la diminuzione del cibo disponibile.
La quantità di krill diminuisce e lo strato di grasso si abbassa e ciò le rende più vulnerabili al freddo, inoltre c’è un nuovo nemico, i gabbiani. Questi uccelli scendono in picchiata dal cielo per conficcare il loro becco sul dorso delle balene quando escono per respirare, circa ogni sette, otto minuti e nella pelle della balena si formano dei buchi che arrivano in profondità. I gabbiani hanno imparato a cacciare così procacciandosi cibo nelle discariche umane e le balene iniziano a morire di infezioni che non riescono a combattere se la lacerazione della carne è vasta e profonda. Più a sud a largo delle isole Falkland (o Malvinas, come le chiamano gli argentini), il combinarsi di correnti oceaniche favorisce l’abbondanza di pesce che ha attirato come miele i grandi pescherecci delle multinazionali i quali buttano a mare tonnellate al giorno di scarti di pesce, ingrandendo sempre di più la popolazione di gabbiani che utilizza questo nuovo metodo di caccia. Gli scienziati stanno studiando il problema, le soluzioni sono naturalmente molto difficili da mettere in atto e si tratta di strategie che coinvolgono più soggetti e territori anche lontani e che apparentemente non c’entrano nulla.
Sono su di un grosso gommone a motore nella baia della Penisola. Il sole è splendente, il vento all’interno della baia è notevole ma l’onda rimane piuttosto bassa e ci permette di navigare in tranquillità. Il freddo è pungente. La baia risplende chiusa in un abbraccio di rocce ricche di stratificazioni, storia geologica a portata di mano, milioni di anni che si affacciano sul mare blu chiaro e sul cielo cobalto senza una nube. A un tratto, dal mare, un ciuffo di vapore svela la posizione del balenottero e dopo qualche minuto vediamo la sagoma della testa della madre emergere dalle onde. Siamo vicini tanto da vederne benissimo il profilo mentre il cucciolo è pancia all’aria con le pinne dorsali all’insù. Non trovo le parole per spiegare la grandezza di questi animali, ci seguono e ci guardano, navigano a fianco della nostra barca, giocano tra di loro, il cucciolo è così attivo e si mostra con le pinne in più posizioni. La madre si pone in verticale e ci guarda per poi immergersi nuovamente sollevando l’enorme coda fuori dall’acqua.
Dalla Terra del fuoco a Calafate
Vedo il faro situato alla fine del mondo, il famoso faro a righe rosso e bianco all’estremità del Canale di Beagle. Dalla fine del mondo, dalla Terra del Fuoco partirò per la città di Calafate l’indomani. Dormo in un albergo di legno molto accogliente. Dalle finestre si vede tutta la città, il mare, le Ande cilene che l’abbracciano da est a ovest fino a dove la terra finisce nell’Oceano Antartico e nel mondo.
Le immagini dei leoni marini e i commenti di ciò che abbiamo visto segnano la serata. Domani partirò per il Lago Argentino, casa del Perito Moreno. La magnificenza infinita della montagna di ghiaccio del Perito Moreno, Glaciar Perito Moreno nella provincia di Santa Cruz, è all’altezza della sua fama e ancora di più. Duecentocinquanta chilometri quadrati di ghiaccio che si spingono dalle Ande cilene al lago Argentino; per paragone l’estensione del centro di Buenos Aires è di un quarto più piccola del ghiacciaio. Il Perito Moreno prende il nome dal tecnico di origine italiana Francisco Pascasio Moreno, che in virtù degli studi effettuati sul quel territorio era membro della commissione governativa che si occupava della definizione dei confini tra il Cile e l’Argentina. Francisco Pascasio Moreno non vide mai il ghiacciaio. La parete di ghiaccio che intravedo arrivando nel parco si eleva di almeno sessanta metri sopra il livello dell’acqua dove affonda di almeno il doppio nel lago. Sembrerà molto più piccolo fino a quando non mi avvicinerò con il battello: solo allora mi rendo conto della sua grandezza. Il ghiacciaio è infinito. Si spinge dalle montagne andine a est per arrivare nel lago ad ovest e si alimenta della neve che ogni singolo giorno dell’anno cade sulla Cordillera. Queste tormente andine provocano un accumulo costante di nuovi strati di neve compattando e trasformando in ghiaccio gli strati di neve sottostanti, spingendosi poi verso il varco tra il Brazo Rico e il Canal de los Témpanos del lago Argentino. La parete è una scultura perfetta, è formata da fenditure che l’attraversano dell’alto al basso. Il colore è azzurro e blu ed è dovuto al cielo nuvoloso. Se ci fosse il cielo sereno sarebbe di un bianco accecante. Il ghiacciaio crepita a intermittenza, si rompe al suo interno e i boati si sentono da lontanissimo. La magnificenza al maschile di questa montagna di ghiaccio ha un suo doppio al femminile e se qui il magnifico si svela nel ghiaccio, il femminile si svela nelle Cascate di Iguazù. Le cascate sono l’ultima delle mie tappe.
La Penisola Valdés è un parco naturale, designata patrimonio dell’Umanità nel 1999. Si può fare subacquea e giocare con i leoni marini. L’unico centro abitato è il villaggio di Puerto Piràmides, un piccolissimo paese con un paio di ristoranti, un albergo che si affaccia sulla spiaggia e un barettino in legno colorato, minuscolo e particolare: all’interno tavoli e sedie uno diverso dall’altro e oggetti personali della proprietaria si mischiano a oggetti artigianali in vendita. La giornata si conclude così dopo ore trascorse nel sole e nel vento patagonico a vedere le balene: straordinario. Prossima tappa: la terra del fuoco ricca di licheni e di alberi secolari.
Le montagne cilene innevate chiudono la baia di Ushuaia, la capitale più meridionale del mondo. Una cittadina che ricorda il paesaggio nordico europeo: case di legno, grandi navi nel porto nella baia e l’aria tersa e luminosa. Il mare è scuro e mosso, il vento è fortissimo. La città ha tantissime strade sterrate color fango scuro che vanno su e giù per le colline costellate di case di legno. Salite e discese ripide chiuse alle macchine durante la stagione invernale per il ghiaccio.
Cani randagi ovunque: questo mi colpisce molto e una guida mi spiega che Ushuaia è per molti una città di passaggio, ci lavorano tanti argentini che arrivano in questa terra attratti da stipendi più alti che in tutto il resto del paese, è una terra difficile per viverci e lontana da tutto: o la si ama molto o la si sceglie per convenienza. Così tante persone si fermano soltanto un paio di anni e magari prendono un cane che poi però lasciano quando traslocano. Le bestiole vengono poi nutrite da tutta la comunità, così mi ha spiegato la guida, molti vengono adottati e alcuni, presumibilmente i più pericolosi vengono rinchiusi in un canile che si trova poco fuori dalla città. Il canile l’ho incontrato mentre, con altri due amici, sono andata a visitare il Lago Escondido situato in mezzo alle montagne alle spalle della città. Ci ha accompagnato un tassista che ci ha proposto al volo la gita a questo lago. Il freddo era fortissimo, pioveva e il vento non si è mai placato. Ci ha portato in mezzo alle montagne sulla sommità del Passo Garibaldi da dove si poteva ammirare il lago giù nella valle opposta. Garibaldi durante la sua vita militare in sud America era stato anche alla fine del mondo. Il tassista era un ex contadino del nord, che perseguitato per motivi politici durante la dittatura, si era rifugiato a Ushuaia per rimanerci qualche mese, fin tanto che si fossero calmate le acque. Vive qui da allora e ama tantissimo questa terra.
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