Valli a capire i viaggi. Ci sono dei posti che brami vedere, ma ci vai e ritorni deluso. Altri, invece, che visiti senza entusiasmi ma finisce che ti piacciono. E ci sono anche Paesi un po’ strani che ti generano curiosità ma sai già che non ne torni tanto allegro. Ad esempio la Corea del Nord (in quei raduni che sembrano il museo di madame Tussauds, avrà mai sorriso qualcuno, non dico per dissenso appetto all’ancor più triste, se mai possibile, Caro Lìder, ma solo perché c’è la tivù e ti vedono da casa? Mai un muscolo di quei cerei volti che faccia un plissé, gli manca solo il Mike Bongiorno che gli urli Allegriaaaa! eppoi, chissà come se la spassano Pyongyang la Nuit).
Tante, dunque, le scelte dei posti “dove andare”, Corea del Nord compresa, da cui si evince che è solo questione de gustibus…
Messicani, popolo allegro, “quasi” sempre…
Quanto a me, no problem, ho il ‘mio’ Messico e mi va benissimo così. Perché “là” ci sto davvero bene, trovo tutto bello (o quasi, cercatela voi la perfezione), tra paesaggi assai vari (come si conviene a un posto grande più di 6 volte il Belpaese) ci campa gente di diversa cultura, storia e tradizioni (e parla il castellano a me caro) prende la vita come viene, sa mangiare e bere (e vabbè, gli perdono il verme nel Mezcal), balla e canta motivi creati dalla saggezza popolare (e da magnifici compositori, perché, come stupidamente si dice: nel Messico “hanno la musica nel sangue”) e soprattutto, e oltretutto (i british dicono last but not least) si ha a che fare con gente sempre ‘allegramente allegra’ (perché in gran parte povera? va a sapere, so soltanto che conosco tanti ricchi milanesi però sempre incazzati, roba da pensare che l’assenza di preoccupazioni – su cosa fare dei danée accumulati – ti liberi serenità e sorrisi…).
…ma nel Giorno dei Morti, ancor di più!
Gente allegra, i messicani, financo il giorno dei morti, sì, il 2 novembre, una data che nel Belpaese risulta tuttora tristerella (non parliamo poi antan: ricordo, ragazzino a Novara, che tutti i cinema restavano chiusi tranne uno, il Coccia, laddove si proiettava “Golgotha” di Duvivier, un film che bastava il nome per metterti a piangere, dicono in Emilia, ‘come una vite tagliata’).
Vale quindi il doppio il “Que viva Mexico!” (celebre opera, 1932, di Serghei Einsestein, in eterna lotta con la fantozziana “Corazzata Potemkin” per la palma del più proiettato film nei cineclubs) da me gioiosamente esclamato quando il Gianluca, tour operator della romana “Konrad” mi ha “pleonasticamente” (perché propormi di andare in Messico è come invitare un’oca a bere) chiesto se volevo aggregarmi a una gita South of the Border (cantava Frank Sinatra, Down Mexico way…).