Giovedì 21 Novembre 2024 - Anno XXII

Indio. Avventura dentro l’Amazzonia venezuelana

Indio amazzonia

Guida alpina, viaggiatore, giornalista ma soprattutto eterno vagabondo, Franco Perlotto ha visitato una cinquantina di
Paesi nel mondo e ha scalato alcune migliaia di montagne molte delle quali da solo. Ha vissuto per tre anni con gli indios Yanomami nella foresta brasiliana. Nel suo libro “Indio”, Alpine Studio editore, l’autore ci trasporta nell’Amazzonia venezuelana tra sogni infranti e desideri di riscatto di un popolo

Indio. Avventura dentro l'Amazzonia venezuelana

Nel libro “ Indio “, Alpine Studio editore, l’autore Franco Perlotto ci trasporta nell’Amazzonia venezuelana tra sogni infranti e desideri di riscatto di un popolo.

A metà degli anni Ottanta tornai a Esmeralda, in Venezuela, nell’alto corso del rio Orinoco, per visitare gli anfratti rocciosi del monte Duida dal lato del rio Cunucunuma. Gli indigeni Yekuana che vivevano nella regione lo chiamavano “la Montagna del Diavolo”. Anche allora, come mille anni addietro, Esmeralda contava ottanta anime.

Era venuto a prelevarmi con la sua barca un uomo di Culebra. L’avevo conosciuto anni prima, ma al contrario di allora mi parve più cordiale e disponibile. Dopo i complessi convenevoli di rito tipici dell’Amazzonia, mi volle accompagnare in una radura alle pendici del monte Duida, a un’ora di cammino. Al limite della foresta, ma ancora tra le erbe alte della savana, sorgeva una capanna circolare, costruita alla foggia indigena. L’afa era insopportabile e l’aria stessa sembrava ronzare per la quantità indescrivibile di zanzare, favorite dall’umidità che usciva dalla giungla.

«L’Indio è italiano, come te», mi disse lo Yekuana, mentre bussava ad una porta di assi di legno. Ne uscì un uomo all’apparenza molto vecchio. Aveva la pelle bruciata dal calore di quell’inferno e le caviglie gonfie per i morsi degli insetti. Portava una lunga barba bianca, spennacchiata e incolta. Nessuno mi aveva parlato di lui nei miei viaggi precedenti. L’uomo non mi sembrò scontroso, così tentai di imbastire un discorso. Con poche parole mi fece scoprire che era nato nel Vicentino. Ma il suo italiano si mescolava in modo così armonioso col castigliano che non riuscii a cogliere l’accento della sua valle nativa. Il vecchio volle sapere subito come si stava vivendo in Veneto.

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Indio
Indio di Franco Perlotto, Alpine Studio editore

Quando gli rivelai della grande crescita economica di quegli anni, mi disse sarcastico: «Ho sentito dire che la nostra gente ha barattato ogni umanità in cambio di montagne di soldi.»
Poi, il vecchio iniziò a parlare in un fiume di parole, intercalando affermazioni ostinatamente certe con interrogazioni che lasciavano trasparire dubbi profondi, come spesso accade a chi vive in solitudine.
Mi raccontò che aveva fatto l’insegnante in una scuola media in provincia di Vicenza, ma che conosceva bene la realtà sudamericana. Una domanda mi sorprese, tra le molte alle quali cercai di rispondere. «Come stanno andando le cose in Brasile?», mi chiese a bruciapelo.

Mi meravigliai molto, anche perché nessuno sapeva che ero appena tornato da un viaggio da quelle parti e che ero perfettamente al corrente di ogni situazione, ma gli risposi ugualmente: «Pare che la democrazia tenga. Tancredo Neves, il primo presidente, sembra sia stato ucciso dai militari ed è stato sostituito dal suo vice. Ora c’è Fernando Collor de Mello», gli dissi. «E i militari?», incalzò lui. «Sono potenti al Nord, mentre al Sud sono contrastati dal partito dei lavoratori che è diventato abbastanza forte», risposi.

Indio

Il vecchio mi guardò come a dire che già lo sapeva, che lo immaginava. La comune conoscenza della realtà brasiliana, una fiducia istintiva nei miei confronti e una certa atmosfera surreale che si creò in quell’angolo di natura selvaggia invogliarono quell’uomo a raccontarmi cose che, d’impatto, mi sembrarono personali, intime. Rimasi colpito da tanta apertura, ma a poco a poco la mia attenzione fu totalmente catturata. Era dal 1979 che viveva ad Esmeralda. Fin dalle prime frasi, non mi sembrò il narrare di qualcuno che smaniava di nostalgia per una gioventù lontana.
Quel personaggio mi piacque molto. Feci ritardare la partenza della mia spedizione sul monte Duida e restai due giorni ad ascoltarlo sotto il sole cocente della savana. Presi qualche appunto: forse un giorno avrei avuto voglia di trascriverlo. Ad ascoltare quel fiume di parole che, nel susseguirsi dei fatti, a tratti parevano un delirio, non c’era nessuno, se non gli insetti.

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«Oltre alle zanzare non c’è mai stato nessun altro, qui ad Esmeralda », mi disse il vecchio con un sorriso stanco. Poi, con uno sguardo che mi scavò l’anima, aggiunse: «Te lo dice uno che a Esmeralda ci è morto.» Mi allontanai confuso per non disturbare la pace del suo cuore, quando scoprii che aveva seppellito un figlio scomparso, una donna amata e una rivoluzione mai combattuta. Raccolsi nei miei appunti alcuni dei suoi sogni e tutta la sua utopia. L’immagine della sua strana follia mi accompagnò per il resto del mio viaggio e per molto tempo ancora.
Esmeralda, 27 settembre 1985.

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