Se si parla di abitudini della cosiddetta gente, nel Belpaese l’anno è scandito, tra maggio e novembre, dai rituali e periodici Buona Pasqua e Buon Natale (auguri che, nulla costando, sono copiosamente elargiti come le benedizioni del Papa, anch’esse free of charge) e, tra giugno e ottobre, dagli immancabili Dove vai quest’anno in vacanza? e dal Dove sei stato in vacanza? Vacanza che (se si parla di turismo e delle sue magagne) ha quasi sempre e soltanto luogo nelle due settimane centrali d’agosto da cui – se si evince che in Italia il sempre invocato e mai avvenuto scaglionamento delle ferie è solo una chimera, ahinoi costosissima, imperocché se tutti vanno via alla stessa data, pare ovvio che alberghi, ristoranti, compagnie aeree e bagnini, per la nota legge della domanda e dell’offerta, freghino il turista (che poi, se baùscia milanès, tornato a casa descriverà agli amici con un misto di vanto e orgoglio il conto/rapina subito in quel famoso ristorante o nella disco trendy).
Sulla sabbia o sulla sdraio? Grazie, no!
I motivi di questa mia vacanza campagnola? Molti (unico da escludere, le variate vicende amorose fil rouge della goldoniana Trilogia della Villeggiatura) e di vario ordine. In primo luogo, ritrovandomi, gracias a dios, sempre in giro, ecco affiorare la necessità di vivere, godere e fare qualcosa di diverso dal viaggiare (e cito quella curiosa boutade turistica secondo la quale il boscaiolo dovrebbe trascorrere le ferie dietro uno sportello, il bancario spaccando la legna).
Aggiungo poi che non sono un tipo da spiaggia laddove non mi stenderei sulla sabbia nemmeno nella citata Miami Beach né a Copacabana (e quanto alle Maldive vi tornerei anche a piedi, ma solo per vedere dai panoramici aerei/taxi quella splendida meraviglia degli atolli affioranti sul mare cobalto), non parliamo poi se la mia vacanza abbronzante dovesse celebrarsi su una sdraio e sotto un ombrellone di una delle tante nostrane località balneari (obbligato dalla scarsa distanza ad ascoltare i vicini di ombra che commentano la campagna acquisti della Juve o che miss locale è stata eletta la sera prima o gli esami di matematica e inglese che deve sostenere Luigino bocciato dalla solita prof stronza).
Nelle terre del ‘Mulino del Po’
Ordunque, dove sei stato in vacanza? mi sembra di udire dalla gentile aficiòn lettrice, ben certa che da vecchio, anzi antico, descrittore di viaggi & turismo chissà verso quali esotiche mète (non meno che chic) avrò viaggiato. E invece, parafrasando il Marino (È del poeta il fin la meraviglia…) sorprendo chi si aspettava che rispondessi Alle Maldive oppure a Miami Beach informando che ho soggiornato sulla riva destra del Po. Più esattamente laddove sta per divenire delta, per poi tuffarsi nell’Adriatico, il fiume caro a Guareschi, Soldati (per le telecamere della pionieristica Rai/Tv che lo percorse ricercando sapori e gusti, da cui le parodie di Tognazzi e Vianello, ricorderanno i matusa) e Bacchelli (che proprio nella terra del mio Buen Retiro ambientò quel Mulino del Po che pochi hanno il coraggio di definire pallosissimo mattone e meno ancora – alla faccia di quanto giurano – hanno letto, né più né meno quel che accade con la altrettanto pallosa Recherche di Proust, pochissimi ne sono arrivati al traguardo finale).
Lungo gli argini del Po (in bici)
Meglio quindi la campagna, per la precisione a Ro Ferrarese, 16 km dal capoluogo (che fa sempre piacere rivisitare, grande casata gli Estensi, magnifici gli edonistici edifici da loro eretti prima che la subentrante Chiesa bacchettona costruisse solo chiese e conventi), località già nota ai colti e a chi campa di gossip in quanto patria dei noti (più il Vittorio, ma anche l’Elisabetta di cose ne sa) fratelli Sgarbi (peraltro da me, come dicono in Veneto, mai coverti né avvistati nonostante l’acquisto di un’aspirina nella paterna farmacia).
E da Ro (parca, la gente contadina, non sciupa nemmeno l’H esibita dalla, è il caso di dire, omonima città alle porte di Milano) eccomi spaziare sportivamente (tanta bici) sul magnifico Argine Destro del Po, ciclabile – bei panorami, sicurezza e tranquillità – per ben 120 km dal confine con la provincia di Mantova al delta, oppure fiondandomi a una delle tante sagre e feste celebrate in agosto a vario titolo (beninteso mangiatamente godereccio, alla buona e preferibilmente scherzoso: lungi dall’emiliano il sussiego del piemontese o la spocchia del toscano o la tristezza del siciliano, che per divertirsi canta la Crozza/teschio supra lu cannuni. In Emilia – non parliamo poi della Romagna – tajadèl, vino e vai col lissio).
Pancia mia, fatti capanna!
Sono stato: alla Sagra dell’Aglio a Voghiera: una Fiesta del Ajo (ero già stato a una Feria nella Castilla y Leòn) che mi ha evitato di andare a una identica kermesse in California (finalmente anche in Italia, oltre al pane, il gelato all’aglio….); alla Sagra del Somarino (in umido, con polenta, provare per credere, e oltretutto non spaventerà la previsione che la carne dell’umile asino diverrà uno dei principali alimenti del futuro); a Berra alla 13ma Fiera Mondiale della Zanzara (Zanzallacci alias Cappellacci di Zucca e Zanzini nel senso di Pinzini, che da queste parti sarebbero il Gnocco o Pizza fritta o Crescentine come dicesi lungo la Via Emilia); alla Sagra della Miseria di Ro Ferrarese (ovvia presenza di Salamina alias Salama da Sugo e di Pinzini con Salame ça va sans dire all’aglio, meno ovvi il Baccalà e la Renga/Aringa con Polenta); al Mulino del Po (ponte Ro/Polesella) Caramelle di Faraone e (solo il venerdì) loro pane (presidio Slowfood) di bruno grano Gentilrosso con lievito madre e lo strutto che occorre.
Altroché Maldive e Miami Beach!
E per non farmi mancare nulla (ci mancherebbe poi gli sfizi culturali) sono pure espatriato a Rovigo (per me la vera Italia è quella del ‘500, l’attuale è solo un’espressione geografica nata nel secolo delle Nazioni cosiddette Romantiche), piccola ma carina, con tutti quei Leon di San Marco che m’hanno sconsigliato di andare nell’orrida Venezia ferragostana. Frattanto nella casa vacanziera di Ro (alias Villa Beicamina, elogiata dal Bacchelli nel già criticato, in quanto pesantino, Mulino del Po) il qui scrivente sguattero e 2 sedicenti chefs (ma evviva i dilettanti appetto a tanti Dei della Cucina vendenti fumo ma lodati – l’alto costo fa più chic – da scribi gastronomi solo perché sbafanti gratis) ammannivano sapide sarde fritte, piadine arricchite col messicano guacamole o l’andaluso salmorejo e umili quanto buone tortillas de patatas. Vacanze alle Maldive o a Miami Beach? Ma mi faccia il piacere …