Un po’ di storia sulle origini di Abbazia
Tutto cominciò nel 1438 (a dar retta al cancelliere fiumano Antonio de Renno de Mutina) quando alcuni benedettini fondarono un’abbazia in cui predicare in grazia di dio e, negli intervalli, coltivare la vite mercè il dolce clima. Perché da queste parti (la Bora docet nella non distante Trieste, 70km) potrebbe far freddo assai, se non che protettrici montagne (ne so qualcosa lo scrivente che le ho valicate durante una buferetta di neve) addolciscono le temperature della sottostante costa adriatica separandola dalla fredda Liburnia di romana memoria.
Nel constatare che fino al XIX° secolo (fatta eccezione per i pellegrini, i letterati dei settecentesco Gran Tour e qualche ricco viaggiatore anglosassone) il Turismo non era ancora nato (per poi, ahinoi, due secoli dopo abbrutirsi nel massificato fenomeno del Low Cost e dei cartocci delle merende buttati in piazza San Marco), faccio compiere al lettore un volo pindarico di quattro secoli e lo colloco nella Opatija di metà ‘800 (a quel punto da tempo austroungarica) quando Iginio Scarpa, rampollo di un patrizio fiumano, fianco alla abbazia eresse una villa chiamandola Angiolina, a ricordo della da poco scomparsa consorte. A ‘sto punto non resta che accennare alla contestualità delle tante guerre (1849, ’59 e ’66) dell’Austria di S. M. I. Franz Josef (quindi feriti e reduci da curare o premiare con meritato riposo) con l’inizio (1842) degli studi dedicati alla talassoterapia (nascita degli stabilimenti balneari) ed ecco apparire Opatija nel firmamento turistico universale. Che comprendeva la francese Costa Azzurra, le egiziane Luxor e Aswan, la greca Corfù tanto cara alla Sissi sposa del sullodato Cecco Beppe, la ligure San Remo e più tardi la basca San Sebastiàn, e le acque si andavano a passare nella boema Marienbad.
Invidiabile posizione geografica
Divenuta italiana alla fine della Grande Guerra, Abbazia rimase highlight turistica grazie alla sua valida posizione geografica nella Mitteleuropa che sulle due sponde del Danubio rifiorì tra le due guerre mondiali.
Non sto lì a trascrivere i nomi degli illustri visitatori di Opatija sciorinati nel già troppo lodato libretto omaggiatomi dal locale ufficio del turismo. Più prosaicamente annoto che per il finale adriatico della mia gita croata ho riposato all’hotel Mozart che non cito, lodandolo, per marchettaro must, obbligo. Lo ricordo invece perché romantico il giusto, età (1894) e dimensioni che (da sempre poco incline ai neologismi) invece che definire boutique hotel preferirei chiamare familiare. Eppoi al Mozart (e ditemi se è poco, per me tennisofilo che in visita al Comune di Opatija ho a lungo ammirato la foto di un campo a fine ‘800, preistoria del mio sport preferito) si ammira una foto di Ljubo Ljubicic, grande tennista croato (ma un filino pure comasco, da anni si consulta col maestro Riccardo Piatti). Per la cronaca, Ljubo è genero di Abi Shalabi, proprietario del Mozart, un professional del turismo che conta (non solo a Opatija).
Articoli precedenti:
1. Io, Marko Polo e la Croazia
2. Gita premio a Zagabria e Abbazia
3. Zagabria, una città a misura d’uomo