Venerdì 29 Marzo 2024 - Anno XXII

San Lazzaro degli Armeni nella Serenissima laguna

San Lazzaro degli Armeni, foto Anton Nossik

La storia affascinante di uno scampolo d’Armenia in terra veneta. L’isola della laguna raccoglie l’eredità spirituale e materiale di un popolo, della sua fede e delle sue tribolate esperienze terrene

San Lazzaro degli Armeni-l'approdo-foto Erlend Bjørtvedt
San Lazzaro degli Armeni-l’approdo-foto Erlend Bjørtvedt

Calpesta con cautela l’isola consacrata dei Padri Mechitaristi, ogni tuo passo potrebbe incontrare le ceneri di un genio; ti supplico, bacia per me la tomba di Padre Alishan e fa che le tue labbra siano infiammate come il mio cuore nel toccare questo marmo consacrato.
(Daniel Varujan, lettera a Garegin Levonian, 27 marzo 1913)
L’isola “consacrata” è quella di San Lazzaro degli Armeni. Si trova nel cuore della laguna veneziana e, in linea d’acqua, a distanza di un paio di minuti da un’altra realtà insulare, il Lido di Venezia. Smaltita l’odissea di nebbie e pioggia, finalmente riesco a organizzarmi e trovare una giornata di sole. Parto di buonora. Fin dalle prime ore del mattino, nel cielo non campeggia una nuvola. Il vento però punge ancora. Dal Lido si vedono le montagne.

In vaporetto al Monastero

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Il khatchkar

Per chi non dispone di una propria (anche minuscola) imbarcazione a motore, la strada per San Lazzaro degli Armeni è un po’ più lunga. E così raggiungo Venezia con i mezzi pubblici. Smonto nei pressi di Piazza San Marco, cambio molo e aspetto un altro  battello dell’ACTV che mi porti a destinazione.
Finalmente parto. Minuscole scaglie d’onde si spalmano sugli zigomi e sui miei polsi. Il panorama è una continua metamorfosi di riflessi. Si alternano piccole imbarcazioni. Gommoni. Non manca mai una gigantesca nave turistica. Un quarto d’ora scarso, e ci sono. Subito un impatto verde e floreale attracca sul mio apparato sensitivo. Prima d’iniziare con una dettagliata perlustrazione, la curiosità mi porta subito a collezionare coordinate e immagini. In attesa di entrare nel complesso del monastero, vengo rapito dal “khatchkar” (risalente al XIV secolo) il simbolo per antonomasia dell’arte armena cristiana, che letteralmente significa “croce-pietra”. Trattasi di una specie di grande stele, ricavata da un blocco basaltico. La pietra fu donata dal Governo dell’Armenia a Venezia nel settembre del 1987, in occasione di una mostra d’arte orientale nella città lagunare.

Storia e origini di San Lazzaro degli Armeni

San Lazzaro degli Armeni La lapide del fondatore
La lapide del fondatore

San Lazzaro non ha una biblioteca né un museo in senso stretto. Rappresenta la cultura di un popolo. È il mostrare una realtà, a Venezia, che non è di Venezia. Per tutti i turisti che sbarcano nell’isola c’è un padre della Congregazione (in origine denominata di Sant’Antonio abate) che li accompagna in questo viaggio. Attraverso la storia, il sapere, i legami con la Repubblica Marinara, l’Occidente e l’Oriente, il perché nel monastero si trovino opere da tutto il mondo. Il fondatore di questa realtà fu l’abate Mechitar (in armeno “mkhitar”, consolatore) che prese possesso dell’isola l’8 settembre del 1717.
Il lungo viaggio del religioso iniziò da molto lontano: nell’impero Ottomano, più precisamente nella cosiddetta Armenia Antica, quella porzione compresa fra i laghi di Van, Urmia e Sevan. Attualmente invece, solo quest’ultimo fa parte della Repubblica Armena, la cui indipendenza dall’ex URSS venne sancita il 21 settembre 1991.

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L’Abate “consolatore” della sua gente

San Lazzaro degli armeni L’abate Mechitar
L’abate Mechitar

Il religioso, originario di Sebaste, aveva un’idea precisa. Più che istituire una nuova congregazione, voleva rivitalizzare l’intera eredità religiosa e culturale del proprio popolo. Per farlo, ci volevano risorse e molti appoggi, ed è così che si recò a Costantinopoli (odierna Istanbul).
Siamo alla fine del Seicento e in quel periodo era acceso il contrasto fra gli Armeni apostolici (ortodossi) e cattolici, contrasto che porterà ad alcune persecuzioni di questi ultimi. Padre Mechitar comprende che non tira una buona aria per la sua posizione ecumenica e così decide di recarsi in Grecia, a Modone, nella regione del Peloponneso, il paese cristiano più vicino, allora sotto il dominio della Serenissima.
Sulle sponde elleniche tutto procede bene. Mechitar istituisce il monastero e il collegio comincia a preparare gli studenti per poi inviarli in Oriente a predicare. Nel 1715 però, scoppia la guerra fra ottomani e veneziani e le magnanime autorità veneziane gli offrono di rifugiarsi nella città lagunare.
Riuscito ad ottenere i permessi per la costruzione di un nuovo edificio religioso, due anni dopo l’abate sbarca sull’isola di San Lazzaro degli Armeni, ex-lebbrosario, di appena settemila metri quadrati.

L’opera di Mechitar e il retaggio culturale

Il testo della Bibbia in lingua armena
Il testo della Bibbia in lingua armena

Quello che trova l’abate al suo arrivo sono solo una chiesa abbandonata e una casetta; saltuariamente viene un giardiniere. Mechitar vuole combinare l’idea monastica con l’ideale accademico e quindi decide di istituire un’accademia monastica. Per predicare c’è bisogno di una disciplina scolastica molto rigida. Il popolo armeno aveva bisogno di illuminarsi. E l’illuminazione comincia con tutte le materie umane. La cultura armena era ricca ma quasi dimenticata all’epoca. Andava riscoperta di nuovo, studiata, ma soprattutto pubblicata, per offrirla ancora al popolo armeno.
Mechitar pubblica una revisione del testo della Bibbia in lingua armena. Il vocabolario armeno è il settimo dizionario di una lingua stampato in tutto il mondo. L’abate aveva capito anzitempo l’importanza dell’editoria. Aveva compreso quanto fosse fondamentale rendere accessibile la cultura della gente per la gente.
Il periodico Pazmaveb, stampato nell’isola degli Armeni, è il più antico d’Italia. La prima copia risale al 1843 e viene tuttt’ora pubblicato. Una volta era settimanale, adesso annuale. All’opera editoriale del Fondatore ne sono seguite molte altre; migliaia di edizioni dalla fine del Settecento sono stampate nell’isola, molte portate da tutto il mondo.

Lord Byron, amante della cultura armena

San Lazzaro degli Armeni La lapide che ricorda Lord Byron
La lapide che ricorda Lord Byron

Fin dalla fondazione di San Lazzaro, i padri armeni iniziano a raccogliere libri, manoscritti (alcuni anche molto preziosi) e oggettistica la più varia. Ogni armeno che giunge a Venezia per visitare l’isola, porta qualcosa. È così che il museo si forma spontaneamente.
Col tempo San Lazzaro cresce in prestigio. A ragione, viene considerato uno dei centri più importanti; una specie di faro, un punto di riferimento. non solo per gli armeni. Anche letterati e studiosi da tutto il mondo guardano a San Lazzaro come a un centro di straordinario interesse. L’esempio più celebre è il poeta inglese George Gordon Lord Byron (1788-1824). Grande amante dell’Oriente e della cultura armena, vi si applicò con dedizione, riuscendo a scrivere e parlare la lingua alquanto discretamente. Morì poco più che trentacinquenne di meningite in Grecia, a Patrasso, nel prendere parte alla guerra per l’indipendenza greca dall’impero ottomano. All’esterno del complesso, una lapide ricorda con affetto Lord Byron.

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Nel monastero, tesori d’arte

San Lazzaro degli Armeni -foto Yerevantsi
L’interno della Chiesa-foto Yerevantsi

Eccomi dentro finalmente. In attesa di scoprire cosa si celi nel monastero, nei suoi archivi e sale museali che la Storia ha pazientemente riempito, mi crogiolo un po’ al sole dell’elegante e verde chiostro. Vengo introdotto nella chiesa. Sebbene ristrutturata, ha mantenuto lo stile archiacuto trecentesco, con l’impianto basilicale a tre navate. Queste, scandite da larghe arcate ogivali, sono sorrette da sei colonne cilindriche in marmo rosso di chiaro stile veneto-bizantino.
Nell’abside (ampliata nel 1899 e ridisegnata in forma poligonale) troneggia l’altare maggiore (con al centro un dipinto della Vergine Maria, pare realizzato dallo stesso fondatore) alle cui spalle spicca la luce di cinque colorate vetrate gotiche, realizzate a Innsbruck (Austria). Nelle tre centrali sono raffigurati San Lazzaro, amico di Cristo (al centro), San Sahak Patriarca (a sinistra) e San Mesrop Mashots (a destra) inventore dell’alfabeto armeno.
Nella chiesa, oltre ad essere impreziosita da altre opere di indubbio valore artistico, c’è anche la tomba del fondatore, coperta da una lapide marmorea grigia con epitaffio.

L’Altare dei Martiri a ricordo del genocidio

Gianbattista Tiepolo, La pace e la giustizia
Gianbattista Tiepolo, La pace e la giustizia

Al lato meridionale dell’edificio religioso vi è la sacrestia con due altari, posti l’uno di fronte all’altro. Il primo è ornato da una moderna pala d’altare raffigurante San Giuseppe, il secondo cela invece i resti mortali di una famiglia simbolica (un uomo, una donna e un bambino) vittima del genocidio turco.
Le spoglie sono state raccolte nel deserto di Deir Zor (Siria) dove furono convogliati centinaia di migliaia di armeni, in quello che fu il loro ultimo viaggio. Dopo il genocidio, i Padri Mechitaristi aprirono un orfanotrofio a Milano per i bambini scampativi. Una volta chiuso, però, l’altare ligneo della cappella venne spostato a San Lazzaro e attualmente è collocato appunto nella sacrestia; dentro l’altare sono stati riposti i resti mortali delle tre persone, che hanno così assunto un carattere memoriale. Per questo esso è denominato “Altare dei Martiri”.
Pregevole anche il refettorio, dove sono conservati molti dipinti, fra cui L’ultima cena (1780) un olio su tela realizzato da Pietro Antonio Novelli. Altro dipinto importante quello di Gianbattista Tiepolo, La pace e la giustizia (1731) collocato nel vestibolo della Biblioteca.

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Doni “testimonianza” di armeni e altri ospiti

Trono indiano
Trono indiano

Armeni provenienti da molte parti del mondo sono giunti in quest’isola per conoscere più a fondo o ricordare la loro storia e tramandarla. E ognuno ha sempre portato doni del suo paese d’origine. Non c’è da meravigliarsi dunque se la sala del museo presenti ceramiche, una mummia egiziana, un trono indiano, porcellane giapponesi, un pregevole e raro papiro birmano (lacca rossa su foglia d’oro) a dodici segmenti in lingua Pali di un rituale buddista, portato da Madras (India) dall’archeologo armeno Lazarovich, che lo scoprì in un tempio nel 1830.
Ciò che lascia davvero a bocca aperta è la sala dei manoscritti. Qui sono conservati quattromilacinquecento manoscritti armeni, raccolti nell’arco di tre secoli. Tra i volumi più importanti il Tetravangelo della regina Mlkhe, la Vita di Alessandro Magno, il Tetravangelo di Adrianopoli. Nella Biblioteca della Congregazione Mechitarista invece, si trova, fra i molti volumi, la Sacra Bibbia pubblicata dall’Abate Mechitar, la seconda edizione in lingua armena. Complessivamente il fondatore pubblicò quattordici opere personali e ventisette traduzioni o edizioni di testi scritturali, spirituali, teologici e classici.

Un’isola più grande, per un grande Monastero

San Lazzaro degli Armeni foto-Joanbanjo
Lasciando l’isola foto-Joanbanjo

Il luogo merita la sua fama e Venezia ne è consapevole. Sarà sempre tenuto in altissima considerazione; stima e interesse si fondono in modo perfetto. La Serenissima (passata e presente) è conscia di avere nel suo ventre un prezioso gioiello. Gli stessi padri, nei tempi addietro, venivano spesso invitati a celebrare la Messa.
Passano i decenni e l’attività culturale cresce così come anche l’isola cresce. Grazie a due ampliamenti (uno prima del Novecento e il secondo dopo la seconda guerra Mondiale, in direzione dell’isola di San Clemente e il Lido) essa venne portata alle attuali dimensioni di trentamila metri quadrati, quadruplicando così la sua originale dimensione.
Scatto ancora qualche foto. Mi riportano al Lido. Sono davvero vicino. Vedo San Lazzaro degli Armeni da un’altra prospettiva. Guardo Venezia da un’altra prospettiva. Resto fisso su quel pezzo di terra galleggiante con una storia così notevole. Mi sporgo sulla laguna. Vedo una città dentro una città.

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