Il nostro tour in Israele si conclude a Tel Aviv. Archiviata la prima parte del famtrip con le visite di Gerusalemme e del mar Morto –grande il fascino della natura complici i panorami desertici e la depressione- il tour (il cui itinerario è suggerito a chi ama viaggiare Fly & Drive) è proseguito, puntando a nord, lungo la valle del Giordano, con sosta e visita a Beit She’an, un sito storico di enorme importanza.
Ed ecco il mare/lago di Galilea, ‘capitale’ Tiberiade, obbligatorio punto di riferimento per chi visita il nord-est di Israele. Una regione incastonata tra Paesi arabi più o meno tranquilli e friendly, amichevoli (sulle Alture del Golàn i binocoli sono sempre a portata di mano), con un passato di storia e tradizioni religiose prevalentemente cristiane, leggasi le gesta di Gesù. Oltre allo stesso specchio d’acqua –i pescatori e il miracolo dei pesci- basta citare alcuni nomi: Magdala e Capernaum, il monte delle Beatitudini (quello dei “Beati i poveri di spirito…”). Né mancano, ovviamente, vestigia storiche ebraiche. E tra gli intriganti, tuttora ‘in progress’, operanti, scavi archeologici nella località natale di Maria Maddalena, appunto Magdala, i resti di una sinagoga del 1° secolo fanno meditare sui buoni livelli di convivenza delle religioni al loro sorgere eppoi al successivo imbarbarimento dei loro rapporti. Sempre sulle rive del mar di Galilea, a Capernaum (alias Cafarnao, in ebraico Kefar Nahum, il villaggio di Nahum, in Israele non è facile localizzare una località in una Babele di lingue) una sinagoga dista pochi metri dalla cosiddetta casa di (san) Pietro.
I misteri culturali e religiosi nella Safed turistica
Poco meno di una trentina di kilometri separano Tiberiade da Safed, una località non solo turisticamente molto importante per svariate motivazioni. Dal punto di vista religioso e culturale la Tzefat ebraica custodisce il misticismo e i misteri della Kabbalà, facilmente percepibili aggirandosi tra vicoli e viuzze, scoprendo antiche e minuscole sinagoghe. V’è poi una Safed turistica, una sorta di Cortina d’Ampezzo israeliana, tra il verde di pini e altre conifere spuntati a un’altitudine garantente aria pura. E in un posto vacanziero, quindi chic, non può mancare la cultura dei danè, alias gallerie d’arte, ateliers di pittori e intellettuali.
Tra Tiberiade e Haifa un musulmano e un ebreo potrebbero anche saltare uno stop a Nazareth, non certo per oltraggio alla terza religione monoteista del mondo bensì per il dettaglio che la località (circa 80.000 abitanti, 30% cristiani, il resto, in gran parte, arabi) evoca ricordi cristiani. Ancorché casualmente nato a Betlemme, Gesù è infatti Nazareno, qui visse l’infanzia, eppertanto Nazareth è sinonimo di edifici cristiani, proprietà vaticane, chiese dedicate alla Annunciazione e a San Giuseppe.
Haifa, il rapporto intercorso tra l’uva e Noè
Il tempo di percorrere una trentina di km, da Nazareth a Haifa, e si torna sul Mediterraneo, ammirato durante l’atterraggio a Tel Aviv. Che bello il panorama dal Dan Carmel hotel (e che buono il vino gentilmente omaggiatomi: un uvaggio di Merlot e di Cabernet, Sauvignon e Franc delle cantine Segal, prenda nota il viaggiatore che durante un viaggio in Israele ricorderà il dissetante, e in questa vicenda inciuccante, rapporto intercorso tra l’uva e Noè, Genesi, 9, 20-27).
E a comprova che in quest’angolo del Mediterraneo sudoccidentale le religioni sono di casa, financo quelle non autoctone, eccomi, dal balcone della mia camera, al top del monte Carmel, ammirare l’indaffarato porto di Haifa e la dorata non meno che voluminosa cupola del tempio del credo Baha’i, anch’esso monoteista, sorto in Iran circa un paio di secoli fa.
Ma dopo tanti (pardòn, due) mari che tali non sono –con tutto il rispetto per il mar Morto e il mar/lago di Tiberiade- è il caso, vivaddio, di godersi un mare che davvero lo è. Perché, a modesto modo di pensare dello scrivente, e gli si perdonino gli entusiasmi sciovinistici, il Mediterraneo non è ‘un’ mare bensì ‘il’ mare. E senza tornare all’alba della storia, leggi Tiro, Sidone etc, sulla costa mediterranea che sto percorrendo visito due chicche di nome Acri (Akko) e Cesarea. Ma mentre quest’ultima località -voluta da quel crudele re che fu Erode- costituisce soltanto un pur magnifico (che meraviglia il Teatro, l’Anfiteatro e l’Ippodromo) sito archeologico (non per niente National Park), Acri è città viva (suggerisco due passi nella via del mercato) non meno che storicamente importantissima. Pertanto ben meritevole del titolo (uno dei pochi veramente “seri”, non una patacca qualsiasi) di Patrimonio dell’Umanità. E a dar retta a un peraltro bel dèpliant turistico, si potrebbe pure commentare che una visita di Acri “vale il doppio” con riferimento ai segreti della “città di sopra” e a quelli della “città di sotto”.
A Megiddo prima di approdare a Tel Aviv
Più prosaicamente, suggerisco un’attenta visita alla Fortezza degli Ospitalieri, con sosta nel Refettorio e meditazione sul sistema di fognatura centrale. Per una sorta di legge di compensazione, prima di concludersi nella più moderna delle località israeliane, Tel Aviv, il famtrip voluto dalla Mariagrazia Falcone, non poteva che far sosta a Megiddo. Un World Heritage Site, che ‘più antico non si può’, sovrastante la mitica Valle del Jezreel, crocevia di popoli e traffici fin dagli albori dell’umanità (nonché, a stare a sentire gli esperti –che spero vacue cassandre- futuro Armageddon, leggasi ‘location’ battaglia finale tra Cristo e Satana…).
A Tel Aviv non tutto è da ignorare, solo perché ‘moderno’ e da vecchio aficionado alla storia mi intriga un giro nella città “antica” (beninteso inizio ‘900) ammirando, in un salone esposizioni, foto dei tempi di poco successivi a quelli pionieristici dell’immigrazione ebraica voluta da Herzl.
Ma è nell’adiacente e godereccia Jaffa (nonostante lo sbafante status di gazzettieri di viaggi si è pur sempre turisti, e a volte nemmeno comme il faut) che si conclude la mia terza gita in Israele. Un posto da vedere, un -come dicono gli Yankees- ‘must’, dovere andarci, fosse solo perché, se proprio non siamo nati da quelle parti, da lì proviene la nostra cultura. Shalom. (5-fine)
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