Domani cade l’anniversario (100 anni) della nascita di Fernanda Pivano, giornalista, scrittrice, traduttrice. Il Corriere del 15 luglio, pagina Cultura, fa un bel ricordo (ovvia non meno che doverosa intera pagina, con pubblicazione di un suo inedito su “New York al Tramonto dall’Empire State Building”) di Fernanda Pivano, considerata la voce italiana della nuova America (Genova, 18/7/1917 – Milano 15/7/2009). Grazie a Fernanda Pivano l’Italia del dopoguerra cominciò a mollare una cultura nazionalpopolare sofferta non tanto per l’influenza autarchica del fascismo quanto per colpa della trista letteratura nostrana dell’800. Trista non meno che triste in quanto corifea di sfiga & tristezza à gogò. Quel De Amicis che ogni volta che lo leggevi ti toccavi le palle, “Enrico, tua mamma è morta” (e non c’era ancora il Mike che almeno avrebbe esultato “Allegria!!!”). Eppoi quel Pascoli, con quella Cavallina che è lì che trotta allegra nella bella Romagna solatìa, solo, che “Ta Pum!”, e vai con un bel funeralone per colui “che non ritorna”… da cui altre palle in mano… Mah.
Fernanda Pivano: la voce della nuova America
Vabbè, non è che se la spassassero i personaggi (“tradotti” dalla Pivano) di Hemingway, Dos Passos, Kerouac, alcuni, oltretutto, tipo quelli di Lee Masters, “vivevano” addirittura in un cimitero. Ma profumavano di vivo, vivace, vivente, non di muffa, i libri che grazie alla Nanda leggiamo in italiano. I loro autori mica avrebbero descritto l’Ombretta, quella del Mississippi, sul bordo del lago – oltretutto il Ceresio è già di tristissimo il suo… – per poi patapumfete!!! farla zompare in acqua e condoglianze per tutti … e, già che ci siamo, nel libro mica può mancare qualche defunto per via del Risorgimento!!! … per la serie “Non c’è limite alla Sfiga”, corollario del cattolicissimo memento “Ricordati che devi morire”.
Ma bando alla letteratura sennò mi accusano pure di scimmiottare l’Umberto Eco (leggere il suo meraviglioso “Elogio di Franti”) oppure di atteggiarmi ad acculturato saccente (ma se è per questo sono stato pure a visitare la hemingwayana Finca Vigìa e a Pamplona “correvo los toros” con su la maglietta di “Papi”). In realtà volevo soltanto parlare della Pivano “per fatto personale” narrando una mia vicenduola che mi vide coinvolto con la Nanda. Vicenduola narrata soltanto per ipotizzare che, quantomeno nel periodo che vado a precisare, la Nanda non doveva spassarsela, sennò mica si sarebbe ridotta a fare la supplente in una scuola. Per spiegarci, tutto il contrario della vicenda del diciottenne portiere del Milan Donnarumma, che, pochi gg fa, invece di andare a sostenere gli esami, ha pensato bene di volare con aereo privè a cuntà su i danè col suo procuratore..
Fernanda Pivano e il ricordo dello studente del Liceo Antonelli
Correvano i primi anni ’50 del secolo scorso e “facevo” il liceo Scientifico, per doverosa precisione l’“Alessandro Antonelli” di Novara (ma non ricordo più se militavo in 3a o in 4°, “E’ passato tanto tempo” avrebbe detto il Rick – Bogart di ‘Casablanca’). Manca la prof. di Lettere e per almeno un mesetto ci ritrovammo con una supplente la cui personalità e “importanza” mi intrigarono fin dal primo momento (la gente diversa, quella che Montanelli definiva ‘con carattere’, la riconosci facilmente). La prof/suppl diceva infatti cose interessanti “nonostante” (cominciava l’attuale era del consumismo, in cui non vali più “per quel che sei” bensì vali ”per quel che appari…”) un aspetto dimesso (forse un filino di understatement, però non underdog… adesso è di moda dire sfigato…). Ma tutto poteva essere addebitato alla stanchezza.
In classe girò infatti voce che quella poco ridanciana docente provvisoria veniva in treno da Torino, dopodiché ai tempi di percorrenza della a/r ferroviaria c’era pure da aggiungere l’a/r pedibus calcantibus (come dicevasi antan) dalla stazione di Novara al lontano liceo. In tutta onestà, le lezioni della supplente erano, sì, interessanti ma francamente (a quell’età – tra pallone e prime morose – avevo altro a cui pensare, mica il latinorum) qualche particolare potrebbe essermi sfuggito.
Quello che invece, a distanza di anni luce, ricordo benissimo, è un dettaglio quanto mai bizzarro e singolare. Uno ‘scaldino’, leggasi una sorta di scatoletta di metallo, foderata con panno pesante, fornente caldo alle mani beninteso se opportunamente dotato di tocchi di carbone ardente o quel che l’è. Ecco, in alcune freddissime mattine di qualche giorno invernale dei primissimi anni ’50, la Fernanda Pivano veniva al Liceo Scientifico “Alessandro Antonelli” di Novara col suo inseparabile scaldino …