A Venezia, splendida, unica, irripetibile, ci si sofferma ad ammirare i siti artistici più famosi: Piazza San Marco, Palazzo Ducale, oppure la Chiesa dei Frari, il Teatro la Fenice, il Ponte di Rialto, la Scuola di San Rocco, ma quanti conoscono le isole della laguna di Venezia? Murano, Burano, Torcello, San Giorgio, la Giudecca, il Lido, sono le isole più gettonate dai turisti sia per l’artigianato locale, che per le mostre e le gallerie d’arte o ancora per le belle spiagge del Lido, tuttavia pochi fanno tappa in un’isoletta che dista qualche miglio da Piazza San Marco: l’isola di San Lazzaro o degli Armeni.
La storia del doppio nome dell’isola
Il nome è doppio in quanto l’isola era adibita a ricovero per i malati di lebbra nel lontano Medio Evo e perciò chiamata San Lazzaro in memoria del Santo patrono dei lebbrosi; in seguito rimase abbandonata e disabitata fino al 1717 quando un monaco armeno, per sfuggire alla persecuzione da parte dei Turchi, approdò a Venezia e chiese di utilizzare l’isoletta abbandonata che assunse così anche il nome di Isola degli Armeni. Il monaco era Padre Mechitar, fondatore dell’ordine dei Padri Mechitaristi, il quale si prodigò, assieme ai suoi confratelli, alla costruzione del monastero e all’ampliamento di altri spazi circostanti. L’isoletta, in origine, copriva una superficie di soli 7.000 mq relativi agli edifici di culto, ma nel tempo, i monaci seppero sfruttare al meglio le opportunità offerte dai vari governi, per cui l’isola occupa oggi una superficie di 30.000 metri quadrati.
La comunità dei Padri Mechitaristi
Gli Armeni sono un popolo dalle origini antichissime, stanziato in Asia Minore tra il Caucaso e l’Anatolia, oggetto di varie dominazioni di cui la più recente è quella Ottomana culminata nel genocidio del popolo armeno tra il 1915 e il 1918, nel pieno del conflitto della Grande Guerra. Gli studi e le ricerche storiche stimano che sono stati uccisi quasi due milioni di Armeni. Una storia tristissima, spesso misconosciuta a causa forse della concomitanza degli infausti avvenimenti della Prima Guerra mondiale, tuttavia intrisa di episodi, racconti raccapriccianti a danno della popolazione civile.
Nel 1810, durante l’occupazione francese, tutta l’isola e la comunità dei Padri Mechitaristi godettero di protezione in quanto il monastero venne considerato da Napoleone Bonaparte “Accademia delle Scienze” e quindi, fu risparmiato dall’abbattimento. Obiettivo dei Padri Mechitaristi, oltre alla preghiera, era quello di divulgare la cultura armena attraverso manoscritti o meglio ancora attraverso opere di stampa e poiché Venezia, grazie all’editore e stampatore Aldo Manuzio, rappresentava uno dei maggiori Centri di stampa d’Europa, essi stessi fondarono una stamperia armena.
Visita all’Isola degli Armeni e al Monastero
Ciò che balza agli occhi, appena giunti sull’isola, sono la bellezza del giardino antistante il monastero e la recinzione in mattoni rossi intervallata da colonne classiche, in contrasto col verde azzurrognolo delle acque della laguna. Nell’ampio cortile di fronte alla facciata del monastero si erge un pozzo dalle fattezze neoclassiche; sulla parete dell’edificio a fianco, si trova una lapide in memoria del poeta inglese Lord Byron che si fermò circa due anni nel monastero per studiare la difficile lingua armena. A destra dell’ingresso, nel giardino, c’è la statua dedicata a Padre Mechitar, avvolto nel suo mantello con le braccia protese in avanti in segno di fratellanza ed ospitalità tipici dell’ordine dei Padri Mechitaristi. Il percorso museale inizia dal bellissimo chiostro all’interno del monastero, ricco di piante rigogliose e profumate. Tra le sale più suggestive vi sono: il Refettorio, le cui pareti sono abbellite da quadri con soggetti religiosi opere di illustri pittori della scuola veneziana; la Biblioteca dove sono conservati i testi antichi contrassegnati, per la consultazione, da lettere armene al tempo stesso numeri ordinali impressi lungo la cornice in legno delle librerie; la Chiesa più volte restaurata, presenta un soffitto decorato in azzurro e stellato che ricorda vagamente la Cappella degli Scrovegni a Padova.
I tesori conservati nel Monastero
Altri interessanti tesori conserva questo Monastero, avvolto da una cortina di pace e di silenzio: ornamenti sacri antichi, oggetti religiosi, reperti archeologici, prodotti in ceramica dell’artigianato armeno risalenti al XV-XVI secolo, copertine in argento per i manoscritti, arazzi stampati a vari soggetti e dipinti di vedute del mare in tempesta opera di pittori armeni. Accanto all’area antica, si trova il padiglione moderno, costruito nel secolo scorso, adibito a biblioteca dov’è custodita la collezione di manoscritti preservata e restaurata dai Padri Mechitaristi contenente oltre 4500 opere databili tra il IX e il XVIII secolo tra cui numerose pubblicazioni stampate in diverse lingue.
Tra le opere d’arte di maggior rilievo ricordiamo la statua in gesso raffigurante il figlio di Napoleone Bonaparte, opera di Antonio Canova; il papiro indiano in lingua pali, la Palla di Canton, pezzo unico in avorio costituito da 14 sfere concentriche per la cui realizzazione furono impiegati anni; il trono indiano del 1350 intarsiato in avorio, ma l’orgoglio dei padri mechitaristi è la mummia egizia di Nemenkot risalente a 2500 anni fa avvolta in un telo di perline.
Centro d’interesse collegato: la Chiesa di Santa Croce degli Armeni a Venezia in Calle degli Armeni.
Come arrivarci: da San Marco San Zaccaria vaporetto linee ACTV n. 20; apertura del Monastero ore: 15:30 la visita dura circa 1 ora. Info: http://www.turismovenezia.it/Venezia/Monastero-Mechitarista-6180.html