C’era una volta il Turismo (e il ministero?…)
Quando si dice il Destino. Da sempre, eccoli lì, gli esperti mondiali di Turismo. Pronti a garantire che la cosiddetta “Industria del Tempo Libero” (detta anche “Business senza Ciminiere”) costituisce(va) una gran bella fetta di Income (danèe) nelle economie del nostro pianeta.
Tanti entusiasmi, nel mondo e, ça va sans dire, nel Belpaese. (n.b. non il formaggio, bensì l’Italia, così definita dal Galbani, non il furmagiàt, bensì il noto, vabbè a pochi, letterato nonché abate lecchese)!
Solo che, invece, adesso che ‘l’è rivà’ el Corona”, cosa accadrà al “Turismo”? Laddove, più semplicemente, si fa riferimento a quel ministero (appunto ‘del Turismo’), da sempre classificato di ‘serie B’); altrettanto da sempre finisce/va assegnato (una volta si chiamava ‘contentino’) al meno pretenzioso peòn della più sfigata corrente del meno partito della coalizione di maggioranza. E adesso? Ci sarà ancora il Turismo (almeno, il Ministero?). Ai posteri…
C’era una volta il ministro degli Esteri
“Una volta”… chi “andava a fare” il ministro degli Esteri (almeno) una lingua straniera la parlava. Oltre, ça va sans dire, e beninteso, al francese, l’idioma diplomatique, o quantomeno tentava di parlarla… Oggidì, chi “va a fare” il ministro degli Esteri come può (anche solo tentare di) esprimersi nella lingua di un Paese straniero quando fa (già) tremenda fatica a parlare la lingua del suo (Paese)? Ad ogni buon conto, se mai al Nostro (ministro) capitasse di “parlare straniero”, non solo non lo comprenderebbero i diplomatici stranieri, tipo quelli coreani (sia quelli del Sud che quelli del Nord ), ma pure i gondolieri venexian non capirebbero una beata fava di quel che dice. Da cui si evince che se si potesse già ipotizzare un prossimo ministro degli Esteri, non sarebbe poi così birichino suggerire di nominare un bidello/a della Berlitz School…
C’erano una volta le professioni
“Una volta” esistevano (“c’erano – appunto – una volta”) le “professioni”. E non bastava la fiducia. Ad esempio, chi “andava dal dottore” notava immancabilmente, appeso al muro, tanto di diploma universitario attestante che il visitante (nel senso del medico che visitava) “aveva fatto gli studi”. In bella mostra, quel ‘pezzo di carta’ tanto agognato (ma anche tanto sconosciuto a tanti attuali ministri), sovente meta finale di molti sacrifici familiari (pertanto anche tenero status symbol piccoloborghese), nonché, soprattutto, canonico diploma attestante che, all’università, c’eri stato (almeno una volta, fosse solo per andare a ritirare l’attestato in segreteria), dopodiché, ormai, ti laurei “per corrispondenza” e il diploma te lo porta a casa il postino… .
“Una volta”… . Quando, “per andare all’università” dovevi (sennò, mica ti avrebbero fatto entrare) “aver fatto il liceo”. (E non bastava: ad esempio, non potevi “fare legge” se “avevi fatto lo scientifico”, da cui – il dì che il qui scrivente andò “a fare lo scientifico”, ma soltanto perché vi si era iscritta una sua morosina – la disperazione del nonno, avvocato, sognante una nepotistica successione nel di lui studio legale).
Adesso, all’università, todos caballeros! Anche perché, per un ‘ragioniere’ che ‘sta facendo medicina’ è (enormemente) importante (per poi procedere al Giuramento di Ippocrate) avere imparato cos’è la Partita Doppia.
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