Se si decide di scoprire la Sardegna in camper ci vogliono il coraggio e l’ardore di affidarsi alla bellezza e all’estro di questa regione. E poi lasciarsi condurre nel suo ventre più intimo e nascosto. Questo racconto di viaggio non fornirà informazioni utili su aree di servizio e rifornimento, itinerari specifici, ristoranti o durata degli spostamenti. Piuttosto vi mostrerà una diversa modalità di porsi nell’affrontare il viaggio. Non so darvi nemmeno le coordinate giuste della rotta seguita: in itinere tutto ha preso forma, senso…
Il Reale si disvela per quello che è: la Sardegna è una terra in cui si manifesta il Divino, nella sua parte più femminile, ancestrale, tenebrosa, affascinante e primitiva! Fino al 1849 si credeva che la Sardegna fosse più estesa della Sicilia, ancora adesso c’è chi pensa si tratti dell’antico continente scomparso di Tirrenide.
Il fatto che sia una regione autonoma, rispecchia nel più vivo dei significati la sua essenza di “universo concluso”: luogo mitico e sconosciuto per eccellenza.
In Sardegna via mare
Arrivare in Sardegna via mare, durante una notte di plenilunio, è il migliore dei modi per varcare un portale magico ed addentrarsi nel viaggio. Ci si muove secondo ritmi che da sempre scandiscono usi, costumi e tradizioni di una società fortemente legata alla corrispondenza tra la luna e i misteriosi fenomeni del sottosuolo, nell’infinito perpetuarsi della vita in ogni suo aspetto.
L’attraversata Piombino-Olbia in traghetto pare sia la più veloce e diretta, ma si attracca quasi sempre in ritardo: conviene farsi cullare dalle onde e predisporsi su altre e più lente frequenze.
Se si ha la fortuna di poter conoscere la Sardegna in camper, itinerando e lasciandosi accadere trasportati dal vento (fattore determinante la scelta di spiagge e rotte!), si avrà la possibilità di entrare in diversi scenari, man mano che si scende lungo le coste o si attraversa l’entroterra.
Panorami e paesaggi che non annoiano
Ci si immerge in acque di vetro liquido e in scenari di una bellezza naturalmente aggressiva. Una bellezza che il mare esalta già nella lontananza: mai uguale a sé stesso, il paesaggio può cambiare drasticamente, senza mai annoiare l’occhio. Altopiani, cave di granito, prati polifiti tra bassi vigneti di Vermentino… fichi d’India e muretti a secco, come merletti ad orlare fossati o sottolineare pendii e chiudende. Ulivi e querce antiche custodiscono fonti d’acqua, dolce e rigeneratrice. Forse, insieme al vino e all’aria è il segreto della longevità degli abitanti di questa regione.
Abitanti che spesso siedono come custodi, all’ombra fresca, in attesa di orecchi curiosi di ascoltare antichi racconti e reminiscenze. E poi scogliere denudate, rupi, strade abbarbicate su versanti petrosi o ricoperti di fitti boschi. Infinite tonalità di verde. Qua e là qualche gregge di pecore o vacche al pascolo. Si sentono forte il frinire delle cicale e il profumo caldo di finocchietto selvatico portato dal vento. Dietro a ogni curva appare qualcosa per cui meravigliarsi. A volte i toni si fanno foschi, le atmosfere torbide per via di questa aurea di “mitico altrove” che qui si respira, come un archetipico stato di natura primordiale.
Attrice non sempre protagonista della sua storia
In Sardegna pare non ci siamo mezze misure: colori, tratti, contorni e figure sono netti, puri, determinati da un ordine materiale di sopravvivenza. Un ordine che racconta della storia e delle difficoltà con cui questa terra ha da sempre convissuto. Plasmata dal clima, isolata dal mare, protetta dai suoi elementi basilari e dalla complessità geomorfologica. Attrice non sempre protagonista della sua storia, abile nell’arte di mantenersi e conservarsi salda sulle sue scogliere e sulla sua economia di sussistenza. Inquietante per la sua lingua indecifrabile e i suoi misteriosi costumi, spesso conservati nella memoria come segreti da non rivelare.
Eppure, questa antica civiltà nuragica e ancor più quella prenuragica, sono tutte da scoprire e sempre più stanno emergendo e rivelandosi grazie a studi recenti e nuovi ritrovamenti. I siti archeologici sparsi sull’isola sarebbero da visitare tutti (pur potendo apparire simili), ognuno ha la sua storia e il suo perché. Per ognuno è stato scelto il luogo in cui edificarlo, in piena armonia con la configurazione astrale del cielo e terrena delle acque.
Credenze e religiosità
Decise due o tre “cose interessanti da visitare”, il resto del viaggio va lasciato accadere. Qui si ha a che fare con una terra difficile da esplorare se non ci si adatta alla sua fisicità e conformazione. Le strade sono spesso sconnesse ed è facile perdersi (a volte, per fortuna!). La gente conserva l’ingenuità del mondo appena creato, protetta dal suo mare, ferma a pensieri e credenze che volano in cerchio come i gabbiani sulla testa dell’isola. Una realtà poco disturbata da quanto c’è fuori, lontano (anche cinque giorni di viaggio ai primi del ‘900). È radicata in una religiosità profondamente sincretica, capace di far convivere cristianesimo antico, spinte innovatrici e retaggi di antichissimi culti.
Il pozzo sacro di Santa Cristina
Tutto ciò si può vivere in presenza se si fa visita ad uno dei pozzi sacri sparsi sull’Isola. Imperdibile quello di Santa Cristina (strada statale 131, km 115- Paulilatino, provincia di Oristano), IX- XI secolo a. C., con adiacente nuraghe e villaggio cristiano, manifesto di una continuità d’uso nel corso della storia, che fanno del luogo qualcosa di davvero unico e particolarmente bello. In questa struttura templare ipogeica veniva celebrato l’incontro del Sole con la Luna, che in determinati momenti dell’anno si specchiavano nelle acque affioranti della sorgente.
I pellegrini che vi si immergevano, risalivano poi la scalinata del pozzo rinnovati nello spirito e nel corpo, in una suggestiva rinascita. Ancora oggi, in particolari giorni legati ai solstizi, in quei luoghi si festeggia, come testimoniano numerose cumbessias o muristenes. Sono abitazioni utilizzate solo in occasione dei Novenari (altro esempio è il villaggio di san Salvatore a Cabras), in cui i fedeli si ritrovano per fare vita comunitaria e rendere omaggio alla divinità.
Donna Dea e sacerdotessa
Ma resiste un archetipo, storico o mitico poco importa, al di sopra del concetto di “bene e male”, che fa della Donna una manifestazione della Dea, sacerdotessa e custode di vita e di morte, quasi una vestale nera, strumento di Dio o presunta folle: l’Acabadora… spesso detta anche Levadora. Il ricordo è ancora vivo negli anziani, che riportano fatti e accadimenti della loro infanzia, quando nei paesi operava questa figura, con il compito di accompagnare il morente o il nascituro durante l’atto sacro di varcare la soglia tra Invisibile e Visi- bile.
Dal sardo antico, acabai è un termine che deriva a sua volta dallo spagnolo acabar, che significa “finire”, “compiere”, “completare”… donne spesso confuse dalla superstizione popolare con creature leggendarie come le Janas, fate/streghe che vivevano in profonde grotte o in sepolcri prenuragici: per chi volesse trovarle e si mettesse alla ricerca dei posti in cui visitare le Domus de Janas (le case delle fate), preferiamo non fornire l’ubicazione precisa di quelle scoperte, vanno “guadagnate” con sano e rispettoso senso del magico e del mistero. Lasciamo a coloro che davvero vogliano vivere quest’avventura, il fascino di trovarcisi coinvolti.
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