L’antico passaggio tra Occidente ed Oriente è diviso da una vena d’acqua. In autobus, mentre ci parla, la guida controlla con rapide occhiate la situazione del traffico sul ponte che dobbiamo attraversare. A quanto pare, quasi tutti gli abitanti di Istanbul fanno affidamento sull’applicazione dello smartphone che li tiene aggiornati su come dovranno muoversi in città. Istanbul è puro fascino: i bazar, i negozi, modernità mista alla tradizione di chi siede fuori dal proprio negozio fumando narghilè. Uomini e donne avvolti da tele colorate e veli, camminano sui marciapiedi calpestati dai tacchi a spillo e dalle sneakers di chi sceglie un abbigliamento più contemporaneo. Perché di scelta si tratta, o almeno questo senso di libertà è quanto si respira.
Istanbul, miscugli continentali
File lunghissime di pescatori attorniano le sponde del ponte che si affaccia sul Bosforo: è più un modo per passare il tempo in compagnia che una vera passione. Ci raccontano che il rispetto per ogni essere vivente è fondamentale, e che la città, il Paese, appartengono tanto agli esseri umani quanto agli animali che vi abitano. Prima della pesca ogni uomo compra del pane per sfamare i gabbiani, che gli saranno compagni fino alla fine della giornata. Molti marciapiedi hanno i bordi scavati, in modo da poter contenere l’acqua piovana che disseterà cani, gatti e uccellini. La gente è solita lasciare delle ciotole con del cibo fuori dalle case per avventori di passaggio. La città brulica di vita, con gli ambulanti che vendono il famoso caffè turco ad ogni angolo e i colori di mercati e ristoranti, il profumo delle spezie; in una delle numerose pasticcerie, la proprietaria mi regala un dolcetto solo per il piacere di farmelo provare, dato che non avrei acquistato la grammatura sufficiente prevista per la vendita. La moschea blu e i sontuosi palazzi suggeriscono l’aura di splendore con cui l’architettura celebra l’Oltre. La terrazza dell’hotel sembra cadere sui tetti degli edifici più bassi, mentre il cielo si colora di arancione e da lontano si sente il suono del mare.
Anatolia “by bus”
Il bus è il mezzo scelto per questo viaggio; un modo per godere del panorama anche durante il tragitto da una città all’altra, perché viaggiare è anche questo, non solo la meta. Distese di campi e prati, rilievi e colline, piccoli paesi si snodano lungo il paesaggio mutevole dell’entroterra; capita spesso di vedere una casetta isolata in mezzo al nulla, ne ricordo una con le travi dipinte di lilla in mezzo al verde del raccolto e al cioccolato della terra.
Ankara è la metropoli, la grande città in cui svettano i grattacieli e i grandi centri commerciali all’americana. Il traffico impera, le luci e i neon delle insegne ricordano le grandi piazze di altre famose città all’altro capo del mondo. Le moschee trovano posto tra un edificio e l’altro, tutto si combina senza essere nota stonata.
Cappadocia, i tufi calcarei patrimonio dell’umanità
Tuttavia, è senza ombra di dubbio la Cappadocia ad avermi lasciata senza fiato. Dopo lunghissime ore di bus, su e giù dai rilievi, passando per i campi ancora innevati e le pianure percorse solo da pastori con i loro animali riesco a godermi, al tramonto, la silenziosa meraviglia dei Camini delle Fate. In Cappadocia rilievi rocciosi imponenti la cui forma ricorda vagamente una piramide, un prisma, si innalzano a centinaia davanti a me. Bagnati dal sole, catturano l’occhio con mille sfumature che vanno dal grigio al caldo colore della terra. Da lontano, i visitatori sembrano formiche che camminano lungo fili di zucchero: rivoletti sabbiosi a tratti si aprono in meravigliose distese di sabbia bianca. Poche gemme di ghiaccio sono intrappolate nel terreno ancora umido, bambini ed adulti sono attenti a non scivolare nelle bronzee discese di fango .
Per secoli, antiche case contadine
Un tappeto srotolato da un terrazzo mi incanta con i suoi mille colori; incredula, scopro così che alcuni camini della Cappadocia sono abitati. Si tratta di appartamenti scavati in passato nella roccia; è difficile ottenere informazioni a riguardo, ma pare che ora questi permessi non siano più concessi. In Cappadocia, una volta, le formazioni rocciose erano casa per le comunità antiche, come testimoniano le numerose incisioni rupestri, i disegni e perfino i delicati affreschi che adornano le chiese medievali abbarbicate sulle asperità del tufo con le loro fragili colonne e le ancora più esili intelaiature. Basta fermarsi un attimo per respirare l’energia di questi luoghi, che sembrano assorbire la forza della Terra e irradiarla tutto attorno.
In mongolfiera sui pinnacoli
L’esperienza più favolosa in Cappadovia è sorvolarli in mongolfiera: si tratta di una delle attività più commerciali legate al turismo in quest’area, ma a volte si ha la fortuna di viverla in condizioni così particolari da ricordarla come qualcosa di inaspettato e indimenticabile. Nella notte, prima dell’alba, si percorrono i sentieri sabbiosi in auto; il sole sorge con il nostro innalzarci verso il cielo e il vento accarezza dolcemente il percorso invisibile tra i pendii e le vallate. E’ magico, e si sente perfino il timoroso rispetto che il timoniere dimostra ad ogni manovra verso il gigante senz’ali. Poche decine di altre mongolfiere ci circondano, e lo spettacolo si fa sempre più intenso con l’altalena di palloni che salgono e scendono intorno a noi nel cielo di fuoco. E’ quasi difficile scendere nel prato in cui gli organizzatori ci aspettano per brindare al volo, quasi come ritornare alla realtà dopo un sogno. E’ con questa sensazione che lascio il cielo rosato della Cappadocia, con le sue abili tessitrici e i venditori di tappeti, i suoi colori e il profumo del tè alla menta. Lascio alle spalle l’ombra dei giganti di roccia, i luoghi di preghiera in cui la religione non ha confini e il tutto diventa lucente tessera di un grande mosaico.
Info: www.turchia.it/
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