Non è cosa di tutti i giorni vedere passare sotto casa quelli che un tempo venivano chiamati “Girini”; niente a che fare con le rane in miniatura. I Girini moderni sono atleti dalle gambe d’acciaio, dai polmoni a mantice, dal cuore mai in fibrillazione, anche quando scalano montagne con pendenze prossime al 20%. Della folta schiera di campioni (sono tutti campioni: anche i gregari più umili) partiti da Torino tre settimane fa, i due terzi circa sono arrivati sino a Milano, dopo aver pedalato per l’Italia intera alla ricerca chi di gloria, chi di ingaggi per la prossima stagione, chi di un vero e proprio “attimo” di notorietà: per una fuga, una volata, un gran premio della montagna. Quasi 4.000 chilometri di fatica (pioggia, freddo, caldo, polvere, cadute, forature) per un solo fotogramma televisivo durante il telegiornale della sera o per un doppio bacio dato sulle guance dalle miss di turno, ad ogni arrivo di tappa. Purtroppo non ha avuto baci o interviste il povero Wouter Weylandt, ragazzone belga, che il suo Giro l’ha concluso nella terribile discesa verso Rapallo.
Tutta l’Italia a bordo strada
Certo, Alberto Contador di baci ne ha ricevuti sin troppi; lui il Giro l’ha vinto con pieno merito. Di bei momenti da ricordare questo 94° Giro d’Italia ne ha messi in fila tanti. La popolare “Carovana Rosa”, un fantastico insieme di auto, moto, furgoni, ambulanze, veicoli di supporto ecc., è passata prima, in mezzo o in coda ai “girini” pedalatori, quasi sempre tra due ali di folla festante e anche un po’ incosciente, in qualche caso. Grazie alla Tivù, molte le scene da brivido, alla vista di tifosi scalmanati che correvano (in salita) fianco a fianco ai ciclisti, rischiando di urtarli e farli cadere; quasi un miracolo vedere i corridori più forti – sull’Etna, sul Gardeccia o sul Colle delle Finestre – mantenersi in equilibrio nel budello umano che li stringeva d’assedio; un cunicolo sempre più stretto e “ravvivato” da centinaia di braccia e bandiere rotanti. Ah! Il Giro; quanta passione. Ma anche quante delicate attenzioni, come quelle dei numerosi tifosi, dopo la tragica tappa di Rapallo, che a bordo strada mostravano cartelli con il numero 108, quello del “Girino” Wouter Weylandt. Per gli appassionati delle due ruote, lui era lì, con gli altri.
Ultimi chilometri
Sono le ultime pedalate del Giro 2011, quelle cui sto assistendo. Arrivano dal lunghissimo Corso Sempione e girano veloci a destra, in Via Canova. Il “mio” Giro e tutto lì, lungo una curva. Prima arrivano un paio di moto (quella della polizia e l’altra dei video operatori), poi sbucano loro, ingobbiti e compatti o dondolanti sulle gambe per riprendere spinta, a divorare veloci l’asfalto verso il Parco e il cuore di Milano. Le ruote lenticolari sibilano e le gambe girano vorticosamente. Lo spettacolo è bello perché la tappa finale è a cronometro. I corridori partono da Rho a distanza di un minuto uno dall’altro; ne vedo passare più volte anche un paio, appaiati; sarà stato più veloce il primo che aveva superato il secondo nella “mia” curva, o viceversa, col secondo che si stava “mangiando” il primo? In fondo, cosa importa. L’unica differenza, le “ammiraglie” al seguito doppie: una per corridore.
E’ quasi finito, il Giro d’Italia. Gli ultimi dieci (i primi in classifica) partono distanziati ogni due minuti. Quando sbuca Contador, la festa finisce. In un attimo (efficienza milanese) smontano le transenne, spariscono i vigili, i poliziotti e anche i tecnici della Rai. Tutti tornano a casa o vanno a mangiarsi un gelato. E riprende il solito carosello delle auto “non” di servizio. Ciao Giro.
(31/05/2011)