Chek Lap Kok è il nome dell’aeroporto di Hong Kong. Costruito interamente sul mare, come appendice della più grande isola di Lantau, è una città perfettamente autonoma compresa nella più grande città di Hong Kong-Victoria-Kowloon, ex famosa colonia britannica, oggi unita alla madrepatria cinese. Vi arrivano e partono migliaia di aerei, nelle ventiquattro ore della giornata. Lunghe piste di decollo-atterraggio; bracci di cemento-ferro-cristallo ad accogliere milioni di viaggiatori da ogni angolo della Terra. Negozi, ristoranti, hotel, lounge lussuose, centri ristoro, bar ecc., che consentirebbero agli eventuali emuli di Tom Hanks di vivere a lungo senza mai uscire dal recinto aeroportuale, senza per questo fare a meno dei servizi essenziali per sopravvivere. E invece è il caso di uscire, per dare un occhio a questa megalopoli asiatica.
La Cina, in lontananza
Non si passeggia a Hong Kong. La città è percorsa da innumerevoli “autostrade urbane” per la moltitudine di bus (cinque compagnie private) che la percorrono. Destano curiosità e tenerezza anche i vecchi tram a due piani, variamente colorati, che si insinuano nei saliscendi urbani e percorrono le vie tortuose del centro storico. I pedoni dispongono di corsie sopraelevate (e coperte) che uniscono i vari centri finanziari e commerciali alla rete urbana dei trasporti. Il traffico automobilistico privato viene scoraggiato, per ovvi motivi. Dallo Central Star Ferry del Victoria Harbour i vaporetti fanno la spola con la terraferma; e dal piazzale antistante partono le due linee di bus più frequentate di Hong Kong: sono la verde Heritage Route e l’arancione Metropolis Route. A due piani, quello superiore scoperto, consentono di percorrere le strade principali della città. La linea verde attraverso i quartieri di Sheung Wan e la zona Central; l’altra, in direzione est, lungo le zone commerciali e finanziarie di Admiralty e Wan Chai. Sempre con lo sguardo rivolto alle innumerevoli prospettive favorite dalla marea di edifici altissimi, alcuni con le impalcature di bambù se in fase di edificazione, con sullo sfondo i colori del mare e dei monti che portano alla Cina. (06/01/11)
Hong Kong, palazzi che si arrampicano verso il cielo
Il treno che collega l’aeroporto al centro di Hong Kong è superveloce, comodo e sempre affollato, dato che unisce numerose frazioni della ex-colonia. Va detto infatti che il territorio è montagnoso, ricco di isole, penisole, baie, promontori verdissimi. Lungo le coste e gli spazi relativamente pianeggianti, è cresciuta con gli anni una città-mito, un tempo vera porta d’accesso alla (una volta) “misteriosa” Cina.
Oggi Hong Kong “compete” con il colosso asiatico – e ne deve sopportare la continua tumultuosa crescita – pur conservando moneta propria, finanze autonome, traffici privilegiati.
La prima impressione, giunti nel cuore di Victoria, è di trovarsi in un gigantesco paesaggio da fiaba ultramoderna.
La caratteristica di Hong Kong è quella di avere la più alta concentrazione al mondo di grattacieli, nati dall’esigenza di sfruttare spazi ridotti.
Il più alto (440 metri) è quello del World Financial Center. Gli fanno da corona altri colossi quali il Lippo Center che assomiglia a un teleobiettivo, quello della sede della Hong Kong and Shanghai Bank di Norman Foster, l’altro della China Bank di Ieoh Ming Pei: moduli piramidali che si arrampicano verso il cielo.
Ma tutta la città è un fiorire di “mostri” verticali, ora modernissimi, ora con qualche acciacco, sempre incalzati da nuovi edifici.
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