È possibile tenere turisticamente informata la “aficiòn” lettrice, anche facendo l’autista della propria sposa. È esattamente quanto accadutomi trasportando – novello Eric Von Stroheim, “chaffeur” di Gloria Swanson nel “Viale del Tramonto” – la Lady a Bologna, invitata a un workshop del Turismo Piceno. E poiché in occasione delle degustazioni delle Tipicità Picene ammannite a fine lavori, ho forse eccessivamente “magnato” il saporito Ciauscolo e sorseggiato la profumata Anisetta Meletti, provvedo immediatamente a sdebitarmi facendo “l’areclàm” del citato ente di promozione (i curiosi visitino pertanto www.picenoconnoi.it; i posti sono davvero belli, lo garantisco disinteressatamente e già che ci sono proclamo anche che il tartufo dei Sibillini vale quello albese, gli incerti leggano www.iltartufodeisibillini.it).
Ricordi Ascolani, non solo per le famose “Olive”…
Piceno alias Ascoli. Una città a me assai cara perché più di mezzo secolo fa, oltre a essere stata testimone del da me agognato ottenimento del RAM (Ridotta – meglio dire nulla – Attitudine Militare, fui infatti ignominiosamente cacciato per indegnità dal locale Corso AUC, Allievi Ufficiali di complemento) mi diede pure modo di conoscere (e da allora che piacevole dipendenza!) le magnifiche Olive all’Ascolana. E ad Ascoli perfezionai anche le mie doti sportive specializzandomi nello sprint, affrontato tutte le sere di libera uscita. All’apertura del cancello della caserma scattava infatti una corsa forsennata con traguardo finale uno dei due casini cittadini. Ma essendo le case di tolleranza ascolane tanto minuscole da poter sì e no dare da amare (nelle tre ore del permesso serale) a non più di un centinaio di futuri ufficiali (salvo lo scrivente), mentre noi del Corso si era poco meno di mille, ne conseguiva che solo chi arrivava tra i primi di questa quotidiana Olimpiade serotina avrebbe potuto godere i piaceri dell’Eros (da me mai goduti avendo come massimo raggiunto il 388° posto).
Bologna la dotta e la ghiotta: coppe, mortadelle, zéppole, eccetera
Finito il workshop e pregati i gentili Piceni di portare i miei saluti alla diletta Ascoli (chi non la conosce ci vada e godrà un piccolo, colto, civile e bell’angolo del Belpaese) conduco la mia sposa in libera uscita (ma stavolta senza correre) nel centro della a me assai cara Bologna. Cara anche questa (sbotterà il cortese lettore)? Eh sì! perché l’Italia non è poi un posto così brutto e le voglio bene assai nonostante gli Italiani. Eppoi come si fa a non voler bene a una città detta la Grassa, la Dotta, e pure la Sexy, mercé quella corrente di pensiero assurta fino ai fasti della Casa Bianca grazie alle opere della stagista Monica Levinsky? Ma cerchiamo di essere seri (soprattutto se si va in giro con la propria Lady) e quindi si tratti di cose serie.
Il mangiare, “magnèr”, ad esempio. E appagate le esigenze culturali soffermandomi alcuni istanti sotto le torri della Garisenda e degli Asinelli (nel medioevo Bulàgna poteva vantarne cento, vedi www.comune.bologna.it/iperbole) eccomi accelerare il passo verso Tamburini: il Tempio, la Mecca, il Peck, il Fauchon della Gastronomia petroniana (chi ahilui non conosce questa benemerita istituzione mangereccia, clicchi subito www.tamburini.com). E vai con lo shopping, tra cui una (ovvia) “Bologna” (per il volgo: mortadella) tanta bella Coppa di testa, molti Ciccioli (nella capitale emiliana noti come Zèppole, in Romagna Zizulèn, nel mortarese Grattoni, e lì si fanno anche d’oca) nonché alcune porzioni di Turtlèn (sia giustiziato il lettore ignaro sulla fine che devono fare i Tortellini, in Romagna Caplìt, cappelletti: mo in brodo, veh!).