La voce era quella di Neil Armstrong, comandante della missione Apollo 11, e Aquila era il nominativo radio del LEM, il modulo destinato alla conquista della Luna. Quarant’anni fa e per la prima volta, una macchina costruita e pilotata dall’uomo toccava un altro corpo celeste. Poco dopo, un incredibile collegamento televisivo con la Luna mostrava un uomo in tuta spaziale scendere la scaletta del LEM e poggiare il piede sinistro sulla superficie grigia e polverosa del Mare della Tranquillità, la zona del satellite scelta per l’atterraggio-allunaggio. “Un piccolo passo per un uomo, ma un balzo enorme per l’umanità” disse lo stesso Armstrong mentre lo compiva; e nel mondo centinaia di milioni di spettatori sospirarono di soddisfazione e di meraviglia nell’assistere a quell’impresa che aveva qualcosa di mitico. In Italia la memoria televisiva di quell’evento storico ha il volto meravigliato di Tito Stagno che in diretta annuncia: “Ha toccato!”. È l’istante nel quale il LEM affonda i suoi piedi da ragno nella polvere, violando per la prima volta un astro che fino ad allora era stato patrimonio esclusivo dei poeti. Quell’impronta, il primo passo di Armstrong e tutto il materiale portato dall’uomo sulla Luna, sono ancora lì. A causa dell’assenza di atmosfera e dei relativi venti, quelle tracce resteranno indelebili per millenni. Monumenti, certo, alla capacità tecnologica dell’uomo, ma anche simbolo di un’epoca che ha saputo partorire un simile viaggio.
La “gara” URSS-USA
Era il 25 maggio del 1961 quando il presidente statunitense John F. Kennedy, in un discorso, indicò l’obbiettivo di raggiungere la Luna con un volo umano entro il decennio. Erano passate solo tre settimane dal volo orbitale di Alan Shepard, il primo americano nello spazio. Gli USA avevano appena pareggiato i conti con l‘allora Unione Sovietica, che il 12 aprile era riuscita ad inviare il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, ed erano pronti al rilancio. “Non c’è dubbio che la conquista della Luna fu molto motivata dalla guerra fredda e dal clima di competizione tra le due superpotenze” commenta Gregory Alegi, storico dell’aviazione e docente di Storia nord americana alla LUISS di Roma. “La campagna elettorale presidenziale fu fortemente caratterizzata dal tema della presunta inferiorità missilistica statunitense. Rispondere con la sfida lunare era un modo per compensare quella insicurezza e per dare al paese nuove tecnologie missilistiche e spaziali. Una sfida che si sposava perfettamente con la filosofia della nuova frontiera kennediana, quella di un nuovo impulso culturale ed economico che rilanciasse, all’interno e all’esterno, il sogno americano”.
L’Italia “appesa” alla cronaca di Tito Stagno
“Il clima della nuova frontiera aveva infiammato diversi paesi, tra cui l’Italia. Uscivamo dalla guerra ed eravamo in pieno miracolo economico”. Il ricordo è proprio di Tito Stagno, cronista di quell’impresa che “aveva la solidarietà ed il ‘tifo’ di tutto il mondo”. Nel suo racconto, il clima di ottimismo e di entusiasmo dell’epoca, appare fortemente identificato nell’impresa degli astronauti. “Era una domenica caldissima” ricorda “e quello che mi colpì era l’atmosfera da vigilia che si respirava. In studio, per la diretta, i cameramen, i tecnici, i giornalisti, tutti lavoravano al meglio delle proprie possibilità e al di là dei loro compiti. E questo era, probabilmente, lo spirito di Apollo 11. Faccio solo un esempio. Il Papa, Paolo VI, la sera dell’allunaggio non era in Vaticano, ma all’osservatorio astronomico romano di Monte Mario. E per sentirsi più vicino agli astronauti guardava col telescopio la Luna”.
Studiare la Luna, per saperne di più sulla Terra
Un evento storico che come tale può essere letto oggi anche con la capacità critica che ci proviene dal tempo trascorso. “L’imbroglio di quell’evento è stato dichiarare che l’uomo è arrivato sulla Luna. Non è vero, c’è arrivata una certa tecnologia, un certo Paese. Naturalmente, una parte del mondo si è identificata con quell’impresa, ma non so se si sono identificati gli asiatici o gli africani dell’epoca”. Un giudizio che evita la retorica delle celebrazioni, quello di Umberto Galimberti, docente di Filosofia della Storia al’università di Venezia. Per il filosofo, quell’impresa ha messo in evidenza la centralità della tecnica nella società contemporanea e lo sforzo delle due superpotenze dell’epoca per assicurarsene il dominio. “Senza dubbio”commenta Enrico Flamini, direttore dell’Unità di osservazione dell’Universo dell’Agenzia Spaziale Italiana, la guerra fredda e la politica furono un motore determinante per l’impresa, ma non sono da sottovalutare i suoi risultati tecnologici e scientifici. Grazie alle missioni Apollo, abbiamo dimostrato la possibilità di andare e tornare sani e salvi su un altro corpo celeste. Grazie ai campioni raccolti, sappiamo come si è formata la Luna, che è un pezzo della Terra staccatosi nel corso dell’evoluzione del nostro pianeta. Grazie ai campioni prelevati conosciamo l’età della Luna e tramite essa, col metodo del conteggio dei crateri, conosciamo l’età degli altri pianeti. Il contributo del programma Apollo allo sviluppo di tecnologie oggi diffuse e quotidiane fu enorme” aggiunge Alegi “gli oltre venti miliardi di dollari dell’epoca spesi nel programma lunare, sono ritornati gratuitamente all’industria in termini di decine di migliaia di brevetti e di innovazioni”.
Ha toccato! Non ancora! Il “battibecco” Stagno-Orlando
Per chi ha vissuto quell’evento, al di là delle motivazioni e dei limiti dell’impresa, resta l’emozione di quelle avvincenti cronache lunari. Notte lunare, in particolare, per il fuso orario italiano che vide il LEM allunare in serata e sei ore e mezza dopo la trasmissione del primo passo di Armstrong. Tutti ricorderanno il battibecco tra Tito Stagno e Ruggero Orlando, l’inviato della RAI al centro di controllo di Houston. “Ha toccato!” annunciava uno; “No, non ha toccato” ribatteva l’altro. Nel racconto dei due c’era una discrepanza di una ventina di secondi sul momento esatto in cui il LEM toccava la superficie lunare. “Le comunicazioni erano fatte secondo un codice tecnico” ricorda oggi Stagno “erano sigle e cifre che esprimevano in metri al secondo la velocità e in piedi l’altitudine. Io ascoltavo e riportavo al pubblico la mia telecronaca. Io ho sentito Armstrong pronunciare la frase “Toccato il suolo” e immediatamente ne ho dato l’annuncio. Orlando al centro di controllo non sentiva le comunicazioni e vedeva i tecnici ancora compresi e al lavoro di fronte ai loro monitor”. Per Stagno, ad Houston le reazioni di felicità dei tecnici si sono viste solo a manovra ultimata e a motori spenti, e questo spiega lo sfasamento nel racconto dei due. “Nel nostro battibeccare” conclude “alla fine, anche io mi sono perso l’annuncio ufficiale “L’Aquila è atterrata”. Ma tutto sommato, credo che quel litigio abbia dato una dimensione umana ad un evento che correva il rischio di sfociare nella leggenda”.
Tre uomini e un LEM
Protagonisti di quel viaggio furono, oltre al comandante Neil Armstrong, il pilota del modulo di servizio Michael Collins e il pilota del modulo lunare Buzz Aldrin. A portare i tre verso la Luna, un razzo Saturn V da 110 metri di altezza e tre milioni di chili di peso. L’avventura incominciò dalla piattaforma 39 del Kennedy Space Center in Florida, il 16 luglio. Per ridurre il peso del carburante necessario a bordo e la costruzione di un missile ancora più grande, i tecnici della NASA avevano optato per un piano di volo che prevedeva il cosiddetto “rendez-vous” in orbita lunare. Al raggiungimento dell’orbita del nostro satellite, il LEM, il modulo destinato all’allunaggio, si sarebbe staccato dal modulo di comando, permettendo ad Armstrong e Aldrin di conquistare la Luna, mentre Collins sarebbe rimasto in orbita in attesa del ritorno dei compagni. Il 20 luglio alle 17,44 il LEM con a bordo Armstrong e Aldrin si staccò dal modulo di servizio, dando inizio alla discesa verso il nostro satellite. Mentre Armstrong ed Aldrin si avviavano a conquistare la Luna, Collins si avviava ad essere quello che i giornali dell’epoca definirono l’uomo più solo dell’universo. Lontano dalla Terra e dai suoi compagni, l’astronauta, nato a Roma, figlio di un addetto militare dell’ambasciata USA, circumnavigava in solitario la Luna, incapace anche solo di comunicare via radio nei momenti in cui la sua navicella spariva dietro la faccia scura del nostro satellite.
“Siamo venuti in pace”, il messaggio lasciato sul satellite
La permanenza complessiva del LEM nel Mare della Tranquillità fu di poco più di 21 ore, con una passeggiata di due ore e mezza durante la quale Armstrong e Aldrin affrontarono a saltelli la scarsa gravità del nostro satellite. Durante la loro escursione, i due astronauti scattarono foto, raccolsero 22 chili di campioni lunari, installarono strumenti scientifici, piantarono la bandiera a stelle e strisce e lasciarono sulle gambe del LEM una targa. “Qui – c’era scritto – uomini dal pianeta Terra fecero il primo passo sulla Luna. Luglio, 1969 d.C. Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”. Poi il LEM con Armstrong e Aldrin lasciò la Luna, usando il proprio carrello come piattaforma di lancio, e si ricongiunse al modulo di comando con Collins alle 21,35 del 21 luglio, per iniziare insieme i tre giorni di viaggio per tornare a casa.