Non cercate Uuc sulla carta della Polonia. Qualsiasi italiano pronuncerebbe Loz quello che nella complicata grafia di quella lingua si scrive Lódz con dei caratteri particolari: la L con un taglio sulla stanghetta e la z con l’accento acuto. Siamo nel cuore del Paese, in una città molto particolare che ha saputo trasformarsi più volte nel corso della sua storia. Da piccolo villaggio a inizio ‘800 a capitale dell’industria tessile, da città in crisi a seconda città della Polonia con circa 900.000 abitanti, centro di cultura e dei nuovi media.
Arrivare non è facilissimo, ci vogliono almeno un paio d’ore di macchina da Varsavia attraversando una vasta pianura. Anche il primo impatto non è stato particolarmente esaltante, tanto da chiedermi più volte chi me l’avesse fatto fare di imbarcarmi in una simile avventura. Un collega e amico che viaggiava nel mio stesso gruppo, grande conoscitore della Polonia, sorrideva sornione a vedere le mie perplessità iniziali, ben sapendo le tante chicche che questa città sa offrire al visitatore.
Sui Riksze, i risciò, nella zona pedonale
Il tempo e la politica hanno purtroppo ormai cancellato quella che era la caratteristica principale di Lódz: la multietnicità. Quando la città si trasformò in una delle capitali mondiali dell’industria tessile, qui accorse gente da ogni dove. I capitali erano ebraici, la tecnologia tedesca, la maestranza polacca, gli amministratori locali russi. Ognuno a modo suo contribuiva alla prosperità della città.
Lungo l’ulica Piotrowska, un’arteria rettilinea di quattro chilometri, cominciavano a sorgere i palazzi degli industriali, così ricchi e potenti da potersi permettere di commissionare agli architetti qualunque stile; il lavoro non mancava e i soldi giravano nei negozi, nei caffè e ristoranti. Questa atmosfera ha vissuto un certo declino durante il periodo socialista ma oggi è tornata ai suoi fasti.
Il segnale di questa ripresa è stata la ricomparsa dei famosissimi Riksze, i risciò, grandi tricicli a pedali dalle fogge e dai colori più disparati che sono gli unici mezzi di trasporto ammessi nella zona pedonale lunga più di due chilometri. La “Pietryna”, come è affettuosamente chiamata, è anche un museo a cielo aperto. Oltre agli antichi palazzi dagli stili più disparati, ci sono anche i monumenti ai personaggi più illustri della città. Lódz li ha onorati con statue a grandezza naturale che li ritraggno nelle loro occupazioni e completamente accessibili. Così si può discutere di affari al tavolo con Izrael Poznanski, Ludwig Geyer e Karl Scheibler, tre grandi capitani di industria, sedersi su una panchina ad ascoltare le poesie di Julian Tuwim, a conversare con l’attore e regista Stefan Jaracz seduti sulle poltroncine di un teatro, oppure suonare il pianoforte con Arthur Rubistein, in questo caso letteralmente perché inserendo una monetina in un’apposita fessura del monumento parte un nastro con Chopin suonato dal grandissimo pianista.
Radegast, la stazione “della memoria”
Lódz si è sviluppata a partire dalla Piotrowska con una serie di lunghe vie parallele e man mano che ci si allontanava dall’asse centrale gli edifici scendevano di valore. Fortunatamente, per la sua posizione un po’ defilata la città non ha subito grandi danni dalla II Guerra Mondiale, anzi ne è uscita praticamente intatta. In questo modo si è risparmiata la ricostruzione “à la socialiste” come, per esempio, a Varsavia che ha creato mostri architettonici, così i casermoni cubici tipici dell’Est sono per fortuna rari in città.
Purtroppo la II Guerra non ha risparmiato orrori alla città. Quello di Lódz si chiama Radegast, un’insignificante stazioncina periferica di legno da dove partirono dal 1942 al 1944 i carichi della morte: 150.000 ebrei destinati ai campi di sterminio. La stazioncina rimane come spazio espositivo altamente simbolico. C’è ancora un treno dell’epoca che è fermo su un tronco di binari originali che terminano da un lato in un lungo tunnel di cemento chiuso e buio con in fondo un mausoleo a forma di camino, a ricordare il destino di coloro che loro malgrado entrarono nel tunnel.