Galileo Galilei. Immagini dell’universo dall’antichità al telescopio: una delle mostre più attese delle celebrazioni del 2009 anno dell’astronomia apre oggi a Firenze, a palazzo Strozzi, con un’ampia rassegna sullo scienziato e la storia dell’osservazione dei cieli. Un imponente corpus di 250 opere, tra i cimeli e gli oggetti di proprietà di raccolte toscane e italiane, ma anche prestiti da istituzioni straniere, illustra come sono state raccontate, studiate, percepite le origini dell’universo dall’antichità sino al secolo di Galileo. Le otto sezioni si spingono in realtà sino a Newton, successore di Galileo nella fondazione della scienza moderna, arrivando a coprire con documenti, astrolabi e planetari anche parte di Settecento e Ottocento. La mostra di Firenze segue di qualche mese le rassegne in corso a Padova, dedicate a Galileo e alle conseguenze delle sue scoperte in fisica e meccanica; si affianca, inoltre, all’esposizione prevista a Pisa, a palazzo Giuli da maggio prossimo, più orientata alle influenze della nuova scienza nella storia dell’arte.
Dal settimo secolo avanti Cristo
Per gli appassionati di astronomia e i cultori, Firenze è già tradizionale meta di visite perché custodisce i soli strumenti originali di Galileo oggi rimasti, fra i quali il celebre cannocchiale, che lo scienziato utilizzò per la prima volta nel 1609 per osservare il cielo. Eccezionale è invece l’esposizione di alcuni manoscritti dello scienziato – di norma non visibili al grande pubblico – come i primi disegni della Luna e delle macchie solari e il diario autografo delle osservazioni di Giove. La mostra però, che è curata da Paolo Galluzzi, direttore del museo della scienza di Firenze, ha scelto di introdurre la sezione su Galileo dopo aver presentato la cultura astronomica mesopotamica, greco-romana e medievale, di cultura cristiana e islamica: “Si è voluto mettere in evidenza che Galileo aveva dietro di sè una lunghissima tradizione di studi”, ha osservato Giovanni Di Pasquale, del comitato scientifico della mostra. “La novità delle sue scoperte ha dovuto confrontarsi, quindi, con una rappresentazione del cielo che si era affermata da secoli e che appariva molto solida, supportata da diversi testi autorevoli”.
L’origine del cosmo
Il primo documento in mostra è una tavoletta mesopotamica del settimo secolo avanti Cristo: “è il più antico racconto sulle origini dell’universo”, spiega Di Pasquale, “nella stessa sezione, un sarcofago egizio mostra la dea Nut con le mani alzate e il disco rosso del sole, mentre alcuni reperti vengono dai depositi di Pompei, anche questi non accessibili al pubblico”. La prima rappresentazione del cielo, invece, è l’Atlante farnese del museo Archeologico di Napoli: un prestito eccezionale, trattandosi di una statua in marmo bianco di 1 metro e 64 centimetri, difficile da spostare. A completare l’excursus storico ci sono anche le opere d’arte: “il dipinto su Sant’Agostino di Botticelli, mostra come veniva inteso il rapporto tra il creato, opera di Dio, e gli studi dell’uomo”, continua Di Pasquale, mentre un quadro di Rubens, “Saturno divora uno dei figli”; del 1636, vede sullo sfondo il pianeta Saturno, disegnato con tre corpi: così il cannocchiale di Galileo lo aveva visto, non potendo ancora riconoscere gli anelli.