In quel tratto di pianura nel quale segna il confine tra Piemonte e Lombardia, il Ticino, fiume “internazionale” per via delle sue origini svizzere, esprime forse la sua vera essenza padana. Acqua madre, quella del fiume azzurro, fra le acque figlie di canali, rogge, fontanili, risaie.
Acqua che impregna una terra ricca, da sempre alleata dell’uomo e da sempre teatro di avvenimenti storici importanti, di traffici tra le due sponde, di transiti millenari di genti diverse.
Di qua e di là del fiume
Oggi siamo abituati a passare il confine su mezzi veloci (treni come auto) quasi senza avvedercene. Non che il confine amministrativo sia importante in sé; ma per chi vive a Milano spostarsi a Novara, pur nella certezza di raggiungere una terra che vanta comuni radici storiche e linguistiche, costituisce comunque un “cambio”, un incontro per certi versi differente con una realtà in fondo diversa da quella lombarda e sfacciatamente metropolitana qual è quella milanese.
Per i novaresi, al contrario, raggiungere Milano è come ritornare a visitare la vecchia madre naturale che non si vedeva più dalla tenera età dell’infanzia, quando negli affetti era già subentrata Torino. Come è logico che sia, oggi Novara vuol bene a Torino, che è la madre che l’ha cresciuta, ma guarda sempre con affetto Milano.
Novara, vista con gli occhi disincantati di uno dei tanti figli di questa vecchia madre ambrosiana, si dispiega nei suoi molteplici motivi di interesse architettonico e mette a nudo quest’anima padana, autenticamente “bassaiola”. Un’anima che si vede e non si vede, fluttuante com’è fra le nebbie (le antiche “scighere”) la cui presenza però si avverte sempre, forte e risoluta, riservata e saggia.
La Novara di Mario Soldati
Bene l’ha descritta, questa particolare sensazione, un grande scrittore qual è stato Mario Soldati: “…appena varcata la cerchia dei baluardi sono stato preso dall’incanto dei colori e delle linee, dolcezza e precisione, pace ed energia, come una volta: e addirittura più di una volta, per il contrasto col mondo intorno che frattanto e finora ha progredito verso la confusione, la fiacchezza, la sguaiataggine. Novara, nel chiaro sole della mattina autunnale era, ad attraversarla, un’armonia di grigi e di avorii, di verdi e di bruni e il cortile dov’è lo studio dell’amico dove ero diretto sembrò infine l’angolo perfetto e più profondo di quel porto ideale. A destra e sinistra, simmetriche, le facciate interne del vecchio stinto casamento, i lunghi ballatoi di ferro, le finestre, gli archi, le scale: e nel fondo, al centro, improvviso sontuoso verde e giallo e come scompigliato dal sole un gran giardino”.
Ecco, nelle parole di Soldati si nasconde forse l’essenza di Novara. Una realtà fatta di vecchie case dignitose e stanche per gli anni che gravano sui tetti e sui coppi, ma nello stesso tempo serene e felici del respiro pacato che le avvolge, con qualsiasi tempo; col sole d’estate, con le foschie autunnali, con le brezze primaverili che scendono scivolando dal Rosa, coi rigori d’inverno che pare nascano da una terra dura e morta, tutt’attorno la città.