Il circo capovolto
è un romanzo che passo passo, indizio dopo indizio, dà vita a una vicenda eroica e poetica. Al centro i campi rom, la violenza che vi circola, ma anche la vivissima cultura (osteggiata, mortificata) di cui sono depositari. Come ha scritto Erri De Luca “Le favole sono atroci, ma con il lieto fine. Quando atroce è il mondo, allora la salvezza può consistere in un circo”.
Si racconta di un campo rom all’estremo confine di una città. Si intravedono fabbriche in disarmo, tangenziali, supermercati. Come un villaggio con leggi e lingua proprie, il campo viene visitato episodicamente da polizia, operatori sociali, autoambulanze. C’è un capo naturalmente, burbero, diffidente, violento. Quando arriva l’ungherese Branko, l’accoglienza è fredda: deve restare ai margini fangosi del campo. Eppure a sera gli si fanno intorno i bambini, incuriositi dal suo grosso baule. Vogliono conoscere la sua storia. Ogni sera, fuori dal suo rifugio di lamiere, Branko ne racconta un pezzo.
Una storia di circo e di guerra, di acrobati e campi di sterminio. Branko è l’inconsapevole discendente di una dinastia di circensi. Il nonno, tradito da quello che credeva essere un amico nell’Ungheria della Seconda guerra mondiale, ha perso la vita insieme a tutta la sua famiglia in un campo di prigionia. Il padre di Branko, unico sopravvissuto, ha celato al figlio le proprie origini. Ma il passato torna a galla, e Branko ripercorre le orme del nonno.
La luce del giorno scopre la durezza del vivere, la questua ai semafori, la droga consumata e commerciata, la brutalità della segregazione, ma al calar del sole Branko riprende il racconto e infine mostra ai ragazzini il contenuto del misterioso baule. Dentro c’è un intero circo, con clavette, birilli e trapezi. E allora il grigio della sera si colora, e i bambini si trasformano in acrobati, clown, giocolieri.
Ormai il seme del circo è stato piantato. E non può far altro che germogliare.
La voce di Branko che noi ascoltiamo, dolce, fragrante di sogni e di futuro, è in realtà la voce di un morto. L’ungherese è stato ucciso ma non può morire, non sa morire, non fino a quando non è sicuro che abbiamo capito che l’immaginazione è più forte, che la vita è più forte.
Il circo capovolto è un racconto che parla tutte le lingue della differenza, che modula con leggerezza e fantasia temi gravi come la guerra, il razzismo, la povertà. La speranza di chi ha sognato una volta il volo perduto dell’acrobata e ora canta finché la canzone sia ripresa.