Strano mondo il nostro. E si che la libertà d’espressione dovrebbe essere il presupposto necessario per lo sviluppo di una sana democrazia. Alcune cifre per riflettere. Nel 2006 sono stati uccisi 81 giornalisti e 32 loro assistenti in 26 differenti Paesi; quelli arrestati ammontano a 871, mentre 1.472 sono stati oggetto di attacchi o ferimenti; 56 quelli rapiti e, infine, 912 le pubblicazioni chiuse o sottoposte, nei casi migliori, a censura.
Semplicemente per aver svolto il loro lavoro (“informare” l’opinione pubblica) nel modo giusto ma nel luogo sbagliato. In altre parole, perché non allineati ai “desideri” dei vari regimi; quindi troppo scomodi per i relativi governi. In Nepal, in Eritrea o in Cina, un giornalista può anche trascorrere parecchi anni in prigione per una frase scritta o una fotografia scattata.
RSF, una “voce” nel deserto delle coscienze?
Chi si batte perché questa parola così abusata (libertà) non resti soltanto un ricordo o un sogno, è Reporters Sans Frontières, associazione riconosciuta con sede a Parigi e sezioni nazionali o uffici nei cinque continenti. Dal lontano 1985 opera per l’affermazione del diritto all’informazione. Grazie alla collaborazione di oltre cento corrispondenti, denuncia le violazioni alla libertà di stampa nel mondo: informando i media, realizzando campagne di sensibilizzazione, lottando per contrastare la censura. L’associazione inoltre difende i giornalisti imprigionati o perseguitati per la loro attività professionale, li sostiene e aiuta le loro famiglie.
Non solo. Si è adoperata per garantire maggior sicurezza ai giornalisti attivi nelle zone di guerra e si impegna con continuità per fornire un sostegno finanziario e materiale alle redazioni in difficoltà. Il suo sito internet (www.rsf.org) che censisce tutti i giorni le violazioni della libertà di stampa nel mondo, viene visitato ogni mese da oltre duecentomila persone e il 3 maggio di ogni anno, in occasione della “Giornata Internazionale della Libertà di Stampa”, pubblica un rapporto completo – prendendo in considerazione più di centocinquanta Paesi – sulla situazione dell’informazione nel mondo.
Cina, “battaglie” tecnologiche
Qualcuno potrebbe domandarsi se è veramente necessaria l’esistenza di questa organizzazione internazionale; se effettivamente il diritto alla libertà di stampa venga facilmente disatteso; se realmente i giornalisti, razza tanto vituperata (a volte anche a ragione) abbiano bisogno di essere difesi, di venire tutelati. Solo alcuni esempi possono chiarire quale sia lo “stato delle cose” nel mondo.
In Egitto, lo stesso paese così ospitale dove tanti di noi si recano per visitare i templi, navigando dolcemente sul Nilo o per immergersi nei colori del Mar Rosso, le autorità di Quina, vicino a Luxor, hanno recentemente obbligato Hala Helmy Botros a chiudere il blog di “Copts without borders” (Copti senza confini) che denunciava le persecuzioni alle quali i Cristiani Copti erano sottoposti; hanno messo sotto accusa la giornalista e le hanno proibito di lasciare il paese.
In Cina, la stessa Cina che sta facendo passi da gigante sotto ilattualmente bloccata in quasi tutte le province del paese. Resta accessibile solo la versione cinese, ovviamente censurata, “Google.cn”.
“Fatto purtroppo prevedibile” – dichiarano a Reporters Sans
Frontières – “Stupisce semmai il fatto che Google sia entrata a far parte del gruppo di società occidentali che hanno apertamente accettato di piegarsi alla censura governativa del Net cinese.
E’ molto triste osservare come i “navigatori” cinesi siano oggi costretti ad affrontare una vera e propria guerra tecnologica contro la censura, per riuscire ad accedere ai siti proibiti dalle autorità. Ma è ancora più desolante pensare ai giornalisti imprigionati anche recentemente in questo paese”.
Un “lavoro” talvolta difficile
In Eritrea sono una quindicina i giornalisti arrestati, dei quali non
si hanno più notizie e i loro giornali sono stati chiusi. E allora
Reporters Sans Frontières, in occasione del tredicesimo anniversario dell’indipendenza del Paese, il 24 maggio 2006, ha chiesto solennemente al presidente Isaias Afeworki di liberare i prigionieri detenuti per “motivi di opinione”.
La risposta si sta ancora facendo attendere. Quanto alla Siria, il giornalista Michel Kilo, rischia l’ergastolo. E stato infatti accusato di “provocare tensioni confessionali erazziali”, di pubblicare “informazioni erronee ed esagerate per colpire il prestigio dello Stato”, nonché di “diffamazione nei confronti del capo dello Stato e dei tribunali nazionali”. Nel contempo è giunta notizia che un altro giornalista di Internet, che collabora con siti di informazione indipendenti e che ha realizzato numerosi “ritratti” di personalità politiche siriane, è stato arrestato poco dopo essere tornato da Qamishly, una città del Kurdistan siriano, dove aveva intervistato un leader politico curdo. La famiglia, da quel momento, non ha più avuto alcuna notizia.
A Cuba il 16 settembre del 2006, il giornalista Odelín Alfonso è stato “prelevato” da casa sua, mentre il 13 dello stesso mese un suo collega, detenuto nella prigione di Valle Grande, a ovest del L’Avana, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la pena di sette anni inflittagli per propaganda sovversiva, mentre in Honduras i giornalisti dell’ASJ (Associazione per una società più giusta) di Tegucigalpa, sono stati ripetutamente minacciati da una società privata di sicurezza, la Delta Security. Avrebbero avuto il torto di pubblicare la notizia secondo la quale quest’ultima avrebbe creato una filiale-ombra per ottenere più facilmente delle commesse statali.
Vita dura per RSF; sotto i riflettori ….
Ecco quindi il perché dell’esistenza di Repoteres Sans Frontières. Nata quasi per caso, un po’ ad imitazione di Mèdecins Sans Frontières, per iniziativa di quattro colleghi che, per mantenerla in vita, non essendo sufficienti le sovvenzioni pubbliche, vendevano i propri “reportages” ai media francesi.
La crescita dei fondi e delle disponibilità finanziarie è stata progressiva, grazie soprattutto alla forte e mediatica personalità del segretario generale, Robert Ménard.
Una delle risorse finanziarie più importanti (rappresenta circa il 60% del budget) sono i due album fotografici, vere e proprie monografie di grandi fotografi, pubblicati due volte all’anno.
“Al secondo posto per importanza” spiegano quelli di RSF, “viene la pubblicazione del nostro rapporto annuale che è utilizzato come preziosa fonte di informazioni da numerosi giornalisti, in tutto il mondo”.
… e nell’anonimato più completo
Oggi la sede principale a Parigi conta quindici persone stipendiate e nove sezioni nel mondo. Ma anche tante difficoltà nel perseguire i propri obiettivi.
Ci sono paesi quali la Cina, l’Iran, la Birmania o Cuba, dove il corrispondente di RSF non può materialmente e fisicamente operare, pena la propria incolumità. In questi casi lavora da un paese geograficamente vicino o da Parigi.
“In altre situazioni” raccontano a Reporters Sans Frontières “il nostro corrispondente resta nell’anonimato più assoluto per proteggere la propria sicurezza. E’ il caso di chi opera nello Zimbabwe, in Uzbekistan, in Nigeria. Solo così possiamo continuare a fare il nostro lavoro. “By-passando” le autorità che ci sono ostili, per usare un termine medico che non è più ‘solo’ medico”.
Notizie utili: Reporters Sans Frontières –www.rsf.org