Lunedì 25 Novembre 2024 - Anno XXII

Il treno e la rivoluzione dell’ora

Risale all’anno 1893 il decreto con il quale l’ora, nel nostro Paese, è stata regolata sul meridiano dell’Europa centrale. E prima? Cosa succedeva quando l’ora non era coordinata tra luogo e luogo? Con quali approssimazioni vivevano i nostri bisnonni?

Il tempo (Foto:NMM)
Il tempo (Foto:NMM)

Quando ruotiamo leggermente il polso e come si dice comunemente, “guardiamo” l’ora, abbiamo l’immediata percezione non solo del nostro tempo, ma anche di quello di chi vive lontano: sappiamo che nel resto dell’Italia e in una parte dell’Europa l’ora è la stessa e se dobbiamo calcolare il tempo di un Paese lontano, il conto è facile.
Ma non ci chiediamo da quando tutto questo è così: ed è sorprendente scoprire che l’esigenza di coordinare il tempo nel mondo (o anche semplicemente in Italia) è un frutto relativamente recente del progresso. Conseguenza, a sua volta, di un’esigenza altrettanto recente, provocata dai progressi della mobilità.
L’origine dell’ora moderna ha un nome a prima vista insospettabile: si chiama treno. Lo sviluppo delle ferrovie, intorno alla metà dell’Ottocento, fa emergere un problema fino a quel momento non percepito: i vari luoghi possiedono un proprio spazio e un loro tempo autonomi, quello che viene chiamato “hic et nunc”. L’isolamento reciproco in cui la distanza relegava i vari luoghi rappresentava il loro “hic et nunc”. Ciò non ebbe alcun rilievo fino a quando i trasporti furono limitati alla carrozza o alla diligenza: il viaggio era talmente lento, rudimentale e a suo modo imprevedibile, che le differenze di orario tra luogo e luogo, tra città e città, venivano assorbite dalla durata dello spostamento. Con il treno questa realtà cambia, perché la riduzione dello spazio intermedio, possibile grazie alla velocità “industriale” del nuovo mezzo, sottrae alle varie località il loro tempo individuale. 

Con l’ora di Greenwich, tutti d’accordo

L'orologio al Royal Observatory di Greenwich
L’orologio al Royal Observatory di Greenwich

Racconta Wolfgang Schievelbusch nel suo prezioso libro “Storia dei viaggi in ferrovia”: “L’ora di Londra era in anticipo di quattro minuti rispetto a quella di Reading, sette minuti e mezzo rispetto a quella di Cirencester e di quattordici minuti rispetto a quella di Bridgewater.
Questo tempo così difforme non costituì un fattore di disturbo fintantoché il traffico tra i vari luoghi procedette così a rilento che lo scarto di tempo si disperdeva in esso, per così dire.
Ora, la riduzione temporale della distanza operata dalla ferrovia mette in relazione non solo i vari centri, ma anche le diverse ore locali. In questa situazione non è possibile un orario ferroviario interregionale, in quanto l’ora di partenza e di arrivo è valida soltanto per la località di cui di volta in volta si adotta l’ora. Quest’ultima non è già più valida per la stazione successiva, che ne ha una propria. Un traffico regolamentato chiede che si uniformi l’ora”.
In Inghilterra – spiega ancora Schievelbusch – l’ora viene unificata negli anni intorno al 1840 dalle singole società ferroviarie, in piena autonomia le une dalle altre. Ogni società adotta sulla propria linea un’ora unica. L’impiegato di turno partiva al mattino con l’orologio della compagnia e a sera, completato il percorso, lo depositava nuovamente negli uffici. Quando le singole società decidono di operare insieme e creano una rete di linee, viene adottata l’ora di Greenwich come ora ferroviaria standard, obbligatoria per tutta la rete.

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Il mondo a “spicchi”

Il treno e la rivoluzione dell’ora

L’ora della ferrovia è valida fin verso la fine del secolo soltanto per il traffico su strada ferrata. Tuttavia, quanto più la rete s’infittisce, quante più regioni vengono collegate con i binari, tanto più perdono ragione d’essere le singole ore locali rispetto a quella ferroviaria universale che, nel 1880, diventa l’ora standard per tutta l’Inghilterra. In Germania l’ora del fuso orario viene adottata ufficialmente nel 1893, dopo che già nel 1884 una conferenza internazionale a Washington aveva suddiviso il mondo in ventiquattro spicchi, ciascuno corrispondente a un’ora diversa. Nel 1893, come abbiamo visto, si “standardizza” anche l’Italia. La Francia lo aveva fatto due anni prima, nel 1891.
Questo sviluppo si rivela più complesso negli Stati Uniti, perché qui non esiste alcun tipo di cooperazione tra le varie società private. Ogni linea ha la propria ora, di regola l’ora locale della sede della società. Nelle stazioni che servono linee diverse si trovano orologi che indicano ore differenti, per esempio tre a Buffalo, sei a Pittsburgh. Nel 1883 viene introdotto negli Stati Uniti il sistema (attuale) dei quattro fusi orari, in un primo tempo soltanto come ora ferroviaria, ma in pratica già come ora standard universale che, in quanto tale, viene adottata legalmente soltanto nel 1918.

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