Il Cairo, da sempre, custodisce identità differenti. Gioca a nascondino con le sue anime diverse: quella copta, che ospitò le prime comunità cristiane esistenti al mondo, la cui reliquia principale è una torre, eretta nel 98 dopo Cristo.
Un’altra islamica, che conduce il visitatore attraverso un viaggio nel tempo lungo oltre sei secoli, racchiusa nel vecchio rione medievale.
Qui, quartieri come Darb el-Ahmar offrono un dedalo di vicoli, dove piace perdersi tra case di mattoni crudi e venditori ambulanti disposti a barattare un asino con due capre.
Poi c’è la faccia fluida: quella del Nilo, attraversato dai barconi e sfiorato dalle feluche, primitive imbarcazioni a vela che acrobaticamente volteggiano quasi senza fendere l’acqua.
Ulteriore aspetto della capitale egiziana, a torto considerato il più immediato, è quello rappresentato dalla piana di Giza, che si estende per diciotto chilometri lungo la riva occidentale del Nilo, intrisa di mistero nonostante il flusso di turisti che ad ogni ora del giorno sfila in processione.
Da questo melting-pot nasce Il Cairo, metropoli dal traffico caotico e dall’esubero di abitanti che sfiorano i sedici milioni. Dato valido, al netto delle zone non censite dove si accalcano almeno altri cinque milioni di residenti.
Happy Hours a Zamalek
In perenne metamorfosi Il Cairo si addormenta tardi. Le attività non aprono prima delle undici del mattino e le insegne tendono a non spegnersi mai.
Sarei spiazzata se non ci fosse un’amica, piemontese all’anagrafe anche se ormai completamente integrata nel “modus vivendi” cairota, a condurmi alla scoperta dei segreti di questa tentacolare città.
Sono le cinque di pomeriggio e il mio obiettivo è di toccare il maggior numero di locali nell’arco di una notte. Saliamo su un taxi e dopo una contrattazione durata dieci minuti che vede l’importo passare da venticinque a cinque Lire egiziane (pari ad un solo Euro) in mancanza di un tariffario fisso, inesistente in Egitto, raggiungiamo il distretto di Zamalek.
È l’ora dell’aperitivo, il nostrano “happy hours”, anche se il rito del dopolavoro non sembra essere così sentito. Sarà il caldo soffocante che non invoglia a buttarsi su buffet luculliani, ma qui di pizzette o insalate non c’è nemmeno l’ombra.
Solo arachidi accompagnate dalla locale birra Stella, chiarissima e di gradazione leggera; rimedio indiscusso ai trentacinque gradi esterni.
Raggiungiamo il Cafè Tabasco, vera mecca per i cultori della caffeina.
Arabico, tostato, moka o espresso si accompagnano alle variazioni del cappuccino, egiziano e marocchino. Il tutto leggendo un buon libro o una rivista acquistabile direttamente all’interno.
Cibi e bevande all’europea
Noto un particolare che rimarrà una costante all’interno di questo itinerario: indipendentemente dalla tipologia del locale, in Egitto si può mangiare a qualsiasi ora. Crolla così un’altra mia convinzione: sia carne che alcolici non sono banditi.
Lo capisco entrando al Abou El Sid dove, certa di integrarmi alle abitudini locali, chiedo un karkadè. L’egiziano al bancone mi guarda basito: sembra, infatti, che qui vengano serviti cocktail tra i migliori del Cairo.
Si sta avvicinando l’ora di cena. Per sedare il languore che si sta facendo strada tra stomaco ed esofago, raggiungiamo l’Aubergine, ristorante di ispirazione vegetariana. L’ambientazione rarefatta lo rende un po’ impersonale. Stessa cosa per il White: bianco di nome e freddo di fatto. Colpa di un’aria condizionata improponibile? Forse: fatto sta che decidiamo di non indugiare ulteriormente.
Risaliamo in taxi alla volta della Down Town. Per raggiungerla costeggiamo il Nilo zeppo di barconi illuminati. Sono locali frequentati esclusivamente da una fauna turistica e per questo cari e asettici. Il più gettonato è l’Al-Mawal, di ispirazione libanese, reputato di gran pregio.