Dalla sommità di un altopiano lo sguardo si spinge a sud fino alle abbaglianti distese glaciali dell’altissimo monte Mc Kinley (6.194 metri) lontano centinaia di chilometri.
Enormi distese di foresta si frappongono tra noi e l’ultimo villaggio. C’è una quiete impressionante. Ed è nell’armonia di questi sconfinati spazi silenziosi che si fondono tutte le sensazioni di forza, di solitudine, di angoscia e di struggente malinconia che un essere umano può avvertire, percorrendo le immense e impenetrabili foreste pedemontane o le desolanti e spettrali regioni della tundra dell’Alaska.
Esiste una sola strada, l’unica che consente l’accesso al Mar Glaciale Artico.
Alaska, enorme frigorifero
Il tratto a nord della cittadina di Fairbanks, sul fiume Tanana, è una pista di ottocento chilometri che corre solitaria sino agli ultimi acquitrini della tundra artica.
Ultimata nel 1977, la pista venne concepita come ”strada di servizio” in appoggio alla “pipeline”, l’oleodotto che dalla Baia di Prudhoe, nell’estremo nord, trasporta il petrolio fino a Valdez, nel golfo dell’Alaska, attraversando longitudinalmente il grande stato americano.
Gli ultimi trecentocinquanta chilometri sono alquanto pericolosi per la presenza di orsi, lupi e per la mancanza di punti d’appoggio, a riprova del fatto che i rari luoghi della terra che l’uomo non ha alterato gli si dimostrano quasi sempre ostili.
Uno di questi è la regione artica dell’Alaska, abitata (quando lo è) da pochi sparsi eschimesi (oggi chamati Inuit), indiani e bianchi.
E’ una regione difficile e fredda dove regnano la neve, il ghiaccio e l’orso bianco, ma è anche un territorio di struggente bellezza e, soprattutto, una terra inviolata dove l’equilibrio naturale delle piante e degli animali non è ancora stato eccessivamente turbato.
Quasi un terzo dell’Alaska si trova a nord del Circolo Polare ed è appunto caratterizzato da questa natura primordiale. La catena dei monti Brooks divide in due la regione come una muraglia merlata che ne rende impervio l’accesso.
Ancora oggi, all’epoca dei viaggi in aereo, ben pochi sono andati a vivere un’esperienza diretta nel Grande Nord.
Pedalate nella tundra acquitrinosa
La fase più delicata e impegnativa della nostra traversata in bicicletta è il superamento delle distese paludose del versante artico. Un vasto territorio pianeggiante sferzato di frequente dai violenti e gelidi venti della calotta polare. Vi fanno parte anche i rilievi collinari pedemontani della catena dei Brooks, impervi e selvaggi, che scendono sino agli infiniti spazi della tundra.
Tra le sue cime senza nome e le valli prive di sentieri si può ancora vivere l’avventura delle “distese selvagge”, esperienza questa quasi impossibile nella maggior parte dei luoghi della Terra.
Qui vivono grandi mammiferi, come il caribù, l’orso grizzly e la pecora di Dall. E’ una regione bellissima e insieme inquietante.
Alla base del monti Brooks sorge l’ultimo villaggio in cui è possibile rifornirsi di cibo. Si chiama Coldfoot (piede freddo) e il nome la dice lunga sulle “delizie” climatiche di questo minuscolo agglomerato di poche casupole prefabbricate dall’aspetto trasandato. Da Coldfoot a Prudhoe Bay ci sono quattrocentocinquanta chilometri di nulla.
Questo significa almeno cinque giorni in sella alle bici, equipaggiati per combattere il freddo e muniti di scorte alimentari adeguate.