Non esiste al mondo un “magazine” come il National Geographic. Chi viaggia per professione, chi scrive di viaggi visitando ogni angolo più nascosto della Terra, ha un parametro di riferimento nella famosa rivista americana e un sogno il più delle volte irrealizzabile: scriverci, pubblicarci delle foto, poter dire di aver fatto parte, anche per una sola volta, del colophon di questa prestigiosa pubblicazione, celebre nel mondo, stampata in quasi tutte le lingue del pianeta.
Una storia affascinante
Tutto è cominciato il 13 gennaio del 1888 presso il Cosmos Club di via Washington, a due passi dalla Casa Bianca, con la fondazione della National Geographic Society. Il primo numero della rivista viene dato alle stampe nell’ottobre dello stesso anno. Fra geografi, fotografi, esploratori, naturalisti, uomini d’affari, erano trentatré i soci fondatori.
Da allora l’associazione, oltre a pubblicare il magazine che nel 1959 verrà chiamato semplicemente National Geographic e che quest’anno festeggia il 116.mo anno di vita, ha finanziato oltre seimila progetti di ricerca e di studio, in ogni angolo della Terra. Alcuni di essi, per la loro originalià e per i tempi in cui sono stati pubblicati sul National, sono rimasti indimenticabili.
Dal Tibet ai Poli, dal Perù alla Cina
Le prime immagini di Lhasa, la città santa del Tibet, nel 1905; le spedizioni in Antartide e al Polo Nord; la scoperta della civiltà Inca del Macchu Picchu; la vita avventurosa di un personaggio straordinario di origine viennese: Joseph Rock, botanico autodidatta e poliglotta, che tra il ’22 e il ’35 scrive per il National Geographic dieci articoli sula Cina e il Tibet, girati a dorsi di mulo e di jak. Agli appuntamenti con i capi tribù Rock si presentava in giacca e cravatta (non di rado in portantina) e alla sera prendeva un bagno caldo nella vasca portatile di gomma acquistata a New York da Abercrombie & Fitch, quindi gustava ricette austriache scelte personalmente e consumate in piatti di porcellana, posati su tovaglie di lino. Nel bel mezzo della steppa o fra le vette hymalayane.
Tra il 1922 e il 1930, Roy C.Andrews guida cinque missioni nel destero dei Gobi, in Mongolia: negli anni Trenta e Quaranta seguono reportage dalla Nuova Guinea alla scoperta delle ultime civiltà della pietra, mentre tra il ’38 e il ’46 vengono pubblicate le risultanze di spedizioni compiute nel Messico per conoscere le civiltà degli Olmecchi e dei Maya.