Atterrando o decollando, è impossibile rendersene conto. Ma l’aereo che vi contiene, proprio mentre state succhiando una caramella se la manovra vi disturba o state sfogliando un giornale in lingua Thai zeppo di segni misteriosi che non sarete mai in grado di interpretare, passa rombando sulle teste dei vacanzieri stesi al sole in una delle molte bellissime spiagge di quest’angolo di Thailandia: quella di Nay Yang che al proprio interno ospita addirittura il Sirinat, un piccolo parco nazionale adagiato fra le colline dell’isola di Phuket e il mare.
L’istmo thailandese, politicamente diviso fra Birmania (oggi Myanmar) e Thailandia, che più a sud si allarga nella penisola malese, sembra quasi sia stato frantumato nella notte dei tempi dai colpi di un grosso martello impugnato da una divinità collerica. La porzione continentale di questa parte del sud est asiatico è infatti tormentata di continuo da una costa che si sporge e una che rientra, da una miriade di isole, isolette e scogli che punteggiano il caldo mare delle Andamane, confondendo il senso di orientamento di chi le percorre, via terra o per mare.
E’ senza dubbio uno dei luoghi più incantevoli del mondo e Phuket, l’isola maggiore, è forse la più fortunata dato che la divinità, stanca di martellare, l’ha lasciata intera e quasi attaccata alla Thailandia continentale, divisa solo da due ponti: il Sarasin e il Thao Thep Krasattri.
Un capoluogo in perenne movimento
La parte occidentale dell’isola, quella verso il mare aperto, è costellata di spiagge famose: Mai Khao, Nay Yang (quella dell’aeroporto), Nay Thon, Bang Thao, le piccole Surin e Kamala, quella semicircolare di Patong, per terminare più a sud con le spiagge Freedom (libertà), Karon, Kata e Naihan. Superato capo Phromthep, la costa risale verso nord allargandosi in baie, allungandosi in penisole, ospitando agglomerati urbani fra i quali Phuket, il capoluogo, che conta circa 70.000 abitanti. Le coste sono basse, in taluni punti dense di vegetazione e acquitrinose. Una differenza sostanziale rispetto a quelle dell’altro lato dell’isola. La cittadina più importante è il luogo di incontro e di smistamento dei traffici, delle attività umane, del girovagare di turisti. E’ quasi impossibile stabilirne i confini urbani. L’intera isola di Phuket è densamente popolata e gli insediamenti abitativi si avvicinano, si allontanano gli uni dagli altri e finiscono per rincorrersi quasi senza soluzione di continuità. Cambiano i nomi, i complicatissimi nomi di una lingua difficile e dai toni ondeggianti, ma è come se si trattasse di un unico grande paese chiamato, per l’appunto, Phuket.
Phuket: templi e pagode buddiste
Qui vi sono templi indù, pagode buddiste, chiese cattoliche, moschee musulmane. Qui le casette basse del centro si intersecano e pullulano di vita: mille negozietti straripanti ogni tipo di mercanzia; bancarelle multicolori dagli odori pungenti di cibi cotti e di spezie.
Qui ancora i visitatori, che mai rinunciano alla speranza dell’acquisto esotico e possibilmente a buon mercato (meglio se condito dal solito tira e molla sui prezzi da pagare) si perdono nei centri shopping globalizzati: sete, tessuti, manufatti in legno pregiato (cofanetti, scacchiere, piccoli Budda), monili e oggetti in ferro, argento, oro. Souvenir dalle mille forme e dai richiami nazionali: animali (elefanti, gibboni, uccelli); divinità per tutti i gusti; centinaia di tè differenti, erbe aromatiche a gogò.
Per chi gli animali desidera vederli dal vivo, c’è un acquario inserito in un centro biologico, uno zoo, una “farm” che ospita coccodrilli, un’esposizione di farfalle e di insetti.
Poi, la gente, la sua vitalità. Questo è forse l’aspetto più interessante di Phuket. Gli uomini e le donne Thai, ai nostri occhi occidentali, sembrano tutti cinesi. Ma un’osservazione più accurata mette in risalto le differenze, talvolta sostanziali.
I Thailandesi hanno una carnagione più scura, un portamento più eretto, una bellezza (quando c’è) che colpisce, sia negli uomini che nelle donne. Certo, la gran massa di persone che lavora dall’alba al tramonto (per esempio chi guida veicoli, chi pigia sui pedali trasportando debordanti americani o australiani, chi scarica casse di frutta, verdura, pesce nei mercati) può apparire meno aggraziata; ma in tutti, a ben guardare, c’è pronto un sorriso spontaneo per il forestiero; il “contatto” è possibile, al di là delle difficoltà linguistiche.
Sino a non molti anni fa, quest’isola e questa città apparivano sonnacchiose e dedite ai piccoli commerci. Ora sembrano tutti presi dalla frenesia di “fare” e di intascare baht (ce ne vogliono circa 30 per fare un Euro) messi insieme da tanti Satang (i centesimi).
Sanno che la loro è un’isola fortunata per il clima e le bellezze naturali che contiene (è ricca di palme e il verde trionfa ovunque); accettano di buon grado l’invadenza chiassosa che una sempre crescente massa di visitatori comporta e si dedicano quindi con entusiasmo ad un’attività un tempo impensabile: rendere gradevole il loro soggiorno. Dollari, Sterline, Euro e Yen sono di casa, da queste parti.