Il 16 ottobre si è celebrato il ritorno di Teodolinda. Bentornata Teodolinda, annunciavano infatti manifesti e locandine, nostra (nel senso di Lombardia) Sovrana, ma che dico, Musa Ispiratrice della mia beneamata regione. E qui apro un paio di parentesi, nel senso di opportuni chiarimenti spiegazioni, a proposito di quanto segue. Uno, parlo di mia beneamata regione potendo vantare ben due avi quanto mai nordici (se non li definisco longobardi poco ci manca): il nonno paterno fu della Valtellina e quello materno di Porlezza, lago Ceresio, talché mi ritengo ampiamente intitolato a infilarmi in Svizzera e giunto a Lugano, tirato giù il finestrino dell’auto, urlare Terùn!. Due, se mai qualche farisaico pirla storcesse il naso accusandomi di leghismo (o altri viepiù pirla pure di razzial-razzismo) ‘per colpa’ della mia dichiarata Sturm und Drang Padana (ulteriormente rafforzata da nascita nella granata città del Toro e dai natali delle ave, romagnola, il massimo, e piemontese) sappia che quando penso a mì querida España non solo il pensiero ma pure il cuore volano in quella terra – e l’accorto lettore ha già capito che accenno a Al Andalùs, Andalusia – nei cosiddetti secoli bui posseduta dai nordici Vandali (poco simpatici alla, nata, duchessa bavara eppoi regina longobarda Teodolinda) ma poi, per ben sette secoli, civilmente abitata, nel senso di colonizzata (vi innovarono splendida agricoltura) e resa sapiente da quei (super) terùn degli Arabi, e per di più maomettani (ma In chà – sia fatta la volontà di – Allà perché se penso alla Mezquita di Cordoba son davvero tentato a pensare che quel dio sia davvero Akbar, grande).
Ma mollata l’Andalusia rieccomi a Monza, inviato (se non speciale quantomeno sempre curioso) dal mè amìs nonché editorpadrone Pietro, che (a causa della mia conoscenza sulla presenza longobarda nell’Italia terùna circoscritta al ducato di Benevento) delego a informarsi sulle orme nel suo foggiano (che Puglia beninteso è, ma, nordica) dei sudditi della regina Teodolinda. Detta anche Teodelinda, ma a proposito di nomi crucchi resi però meno ostici per il mercato italiano, tutti sanno che la attuale regina degli intervistanti alla tivù, la Gruber, è nota come Lilli ma risponde al nibelungico nome di Dietlinde.
Uno storico ritorno
Teodolinda, dunque, a Monza. Una presenza importante, anzi decisiva, perché la capitale dei Longobardi (Lang Bard, lunga barba) non era Monza bensì Pavia. E apro (ma che bello divagare) un breve inciso, con domanda: ma perché gli addetti ai lavori politici della Longo/Lom-bardia – imitando i padri fondatori degli Usa, che per capitali dei neonati Stati designarono località minori e non le grandi città, laddove affarismo, business e malavita allignano più facilmente – non vollero, appunto, Pavia, o Monza, capitale della Regione? (Domanda pleonastica, perché, forse, vedi sopra, so il perché).
Teodolinda, nata nel 570 (forse, a Ratisbona – Regensburg) – morta nel 627 (a Monza), regina longobarda sposando dapprima Autari (589) eppoi Agilulfo (re post Autari, ex duca di Torino, non so bene cosa combinò ma gli sarà occorso poco per governare meglio dei Savoia), fu anche reggente dal 616 al 624 per la minor età del figlio Adaloaldo.
Infine eccomi – preceduto dalle autorità inauguranti, ubi maior … – a conoscere de visu l’intrigante vita di Teodolinda narrata nei meravigliosi dipinti che il pubblico, dal 17 ottobre e previo pagamento di 8 euro, può ammirare nella Cappella del duomo monzese alla regina intitolata. E dopo aver appreso che in una sorta di colonna con tabernacolo posta al centro della citata Cappella è custodita la Corona Ferrea (dai Longobardi ai Savoia, pensa tu), il visitatore proseguirà per il magnifico Museo, custodente un capolavoro a mio giudizio commovente (a me è accaduto): la Chioccia con 7 pulcini di Teodolinda.
Un meraviglioso racconto murale sulla vita di Teodolinda
E se non proprio con un colpo di scena, quantomeno con una sorta di Coup de Thèatre, concludo con una precisazione. La grandissima Teodolinda mi ha talmente affascinato da avermi obbligato a dedicarle tantissimo spazio. Ma giustizia e doveri del cronista obbligano ad aggiungere che quei 500 metri quadri di belle pitture, anzi, quel ben di dio per l’occhio del visitatore, quel meraviglioso racconto murale che (da bravo longbard) non considererei di moltissimo inferiore agli Scrovegni e (bestemmia, e vabbè) alla Sistina, è opera (copio dal bel catalogo “Il ritorno di Teodolinda”, fondazione Gaiani) “E’ stato realizzato alla metà del XV secolo dalla famiglia di pittori Zavattari, attivi alla corte di Filippo Maria Visconti”. E se proprio può aiutare un mio suggerimento, in quel mezzo kilometro quadrato di pitture suggerisco di soffermarsi qualche minuto appetto a: Il matrimonio di Teodolinda e Agilulfo, il Banchetto di Nozze, L’apparizione dello spirito santo in forma di Colomba (suggerente alla sovrana di costruire in quel punto la chiesa in cui adesso riposa).
Per concludere esco dal duomo di Monza parafrasando JFK, che in un memorabile discorso a pochi passi dal ben noto, e vergognoso, Muro esclamò “Ich bin ein Berliner” e proclamo “Mì sunt un Lunbard”. Con un arriderci a Teodolinda (che davvero merita un – stavolta mio – ritorno….).
P.S. Fosse solo per far campare i tour operators e i giornalisti che ne descrivono le gite, i turisti continuino pure ad andare alle Maldive (peraltro magnifiche) e/o altrove, ma, per favore, chi vive (o si ritrova ancorché solo provvisoriamente) a Milano & dintorni, dia retta al sottoscritto, umile scrivano: faccia un salto al duomo di Monza (città longobarda divenuta, grazie a Teodolinda, “capitale culturale internazionale”, e non lo dichiaro io, lo “dice” il comunicato stampa diffuso a commento dello storico Ritorno).