Il mio viaggio in India è iniziato verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso. Era il periodo in cui l’onda lunga dei “figli dei fiori” si era infranta per molti di loro nelle paludi di morte dell’eroina; mentre l’alta marea del misticismo “New Age” non era ancora al suo apice.
Così con nel cuore le parole di Gandhi, nella mente i pensieri di “Siddaharta” di Herman Hesse, negli occhi le immagini de “L’odore dell’India” di Pier Paolo Pasolini ho attraversato il mondo variegato indiano. Partito dalle pendici dell’Himalaya fino a Capo Comorin nell’estremo sud, dove le acque dell’Oceano Indiano incontrano quelle del Golfo del Bengala e del Mare Arabico.
Incontri indiani
A Goa ci sono andato la prima volta all’inizio degli anni Ottanta. Poi ci sono ritornato più volte. Sono passati più di 40 anni da quando i primi hippies sono approdati a Goa alla ricerca di un eden impossibile a lungo sognato. Oggi di quei sogni poco rimane. Lo spettro dell’Aids incombe qui come in Europa e in America, così quello delle droghe sintetiche e della cocaina portata fin qua dai colombiani.
Alberghi e ristoranti, coffe shop e banchetti dei kashmiri, che vendono la paccottiglia di un artigianato ormai seriale, hanno fatto di Calangute, Baga e Anjuna una Rimini in versione esotica. Tutto è organizzato fin nei minimi particolari.
Nel supermercato Oxford Stores si trovano articoli e cibi occidentali, mentre al Computer Centre si possono inviare messaggi via E-mail in ogni parte del mondo. In questa parte di Goa la speculazione edilizia ha totalmente deturpato l’ambiente. Sono sorti condomini in multiproprietà e hotel, lungo una fascia di 4-5 km tra il mare e l’interno, con vista su paludi e risaie. Turistifici-lager con vigilantes armati fino ai denti, abitati da indiani appartenenti alla middle class che vengono da Mumbai e da Delhi a trascorrere le vacanze.
Le agenzie locali vendono pacchetti di una settimana per 1500 Rs. Una volta arrivati, tutti in spiaggia: le donne, con la tribù dei figli, a fare il bagno regolarmente vestite con i loro sari multicolori, i mariti e i giovani ragazzotti muniti di binocoli a caccia delle turiste in topless. Anche questo spettacolo fa parte dell’all inclusive, come quello più hard che si rinnova ogni mercoledì sulla spiaggia di Anjuna durante il flea-market, mercato delle pulci dove si trova di tutto, hascisc compreso.
“Sui gradini dello Shore Bar si beve e ci si fa come scimmie, mentre la musica è sparata a tutto volume. Il migliore d. j. rimane sempre Goa Gil il creatore della Goa-Trance, un mix di thecno, hacid e rock con frammenti di musicalità indiane. Si accendono le candele sulla spiaggia appena le tenebre hanno oscurato gli ultimi bagliori del sole”, mi racconta Gheo Ferrero, 52 anni, milanese appena tornato da Goa. “Lo sballo è più totale nelle notti di luna piena quando si continua a ballare fino all’alba. È un party “storico”, ormai consacrato da tutte le guide turistiche”.
Incontri indiani: le grandi feste di Goa
“Quando sono arrivata a Goa verso la fine degli anni Ottanta venivano ancora organizzate le grandi feste, in particolare per Natale e Capodanno”, ricorda Delfina Vezzoli, americanista, che per cinque anni ha passato i mesi invernali a Goa a tradurre libri. “Poi la polizia è divenuta sempre più esosa nel richiedere denaro per permettere questi party. Addirittura nel’94 è intervenuta con lancio di lacrimogeni e cariche. Sono morte due persone, fra cui la figlia dell’ambasciatore danese. I controlli sono divenuti più vessatori e ad uno ad uno sono andati via i più famosi personaggi della comunità dei residenti.
Come Eddy Eigth Fingers, chiamato “otto dita” perché ne aveva perse due in un incidente con la sua motocicletta durante una delle sue innumerevoli traversate dell’India. E Jerry Shultz, un americano coltissimo, legato al gruppo degli arancioni di Puna, che aveva una sterminata biblioteca.
Quelli rimasti, ormai tra i 50 e i 70 anni, hanno cambiato stile di vita. Arricchitisi con lo spaccio di droghe leggere, nelle loro belle case ricevono solo le persone che contano. Ricordo che da Hari Ajwani e Claudia Derain, interior-designer franco-tedesca, ci trovavi dal coatto romano al grande antiquario madrileño.
Ora hanno trasformato la loro splendida casa costruita sulle alture di Arpora nel costoso Nilaya Hermitage”.
“Tutto questo rientra in un progetto complessivo delle autorità indiane che vogliono fare di Goa una destinazione sicura del turismo internazionale”, sostiene Paul Mann, scrittore americano, autore di “Le spiagge di Goa” (Polillo Editore). “L’importante che i turisti spendano i loro soldi nei nuovi resort e che apparentemente tutto sia normale. Poco importa se Goa sia divenuta un centro dello spaccio internazionale della droga. Basta qualche migliaio di dollari per comprare il silenzio della polizia.”
Incontri indiani
Il popolo dei charter è formato da un mix di giovani in cerca di “fumo” a buon mercato e di pensionati desiderosi di sole in fuga dal freddo dell’Europa. Molti i single: dalla dattilografa di Manchester e di Huston, ai ventenni brufolosi di Amburgo e di Chicago.
I nuovi figli dei fiori sono i californiani e gli australiani: palestrati, biondissimi e bellissimi come le loro compagne, alte e sottili, sempre in jeep o a cavallo di rombanti Enfield, le grosse motociclette made in India simili alla nostrana Guzzi.
Aggressivi e violenti sono gli israeliani, ragazzi che arrivano da un mondo in guerra e hanno bisogno di forti emozioni. Sono quelli che scatenano di più la reazione della polizia perché non mediano e non voglio pagare il bacscis, il “pizzo”. La spiaggia di Vagator è divisa tra loro e gli italiani che passano il tempo a giocare al pallone, a scommettere, a organizzare cene a base di spaghetti e parmigiano.
E poi ci sono gli indiani che hanno imparato a convivere con i turisti e a trarne tutti i vantaggi possibili. Tre milioni di stagionali provenienti dal Kashmir e dal nord dell’India vivono nei villaggi attorno a Mapura, luride tendopoli che lasciano al mattino presto per sciamare nelle spiagge alla moda, trasformandosi in vucumprà e fornitori di servizi: da pulitori di orecchi a spacciatori. I goani, che solo 1.300.000 circa, si sentono assediati da questa massa di immigrati. Churchill Alemano, 60 anni, leader del Partito del Congresso, ex-calciatore e gran patron della squadra locale vincitrice del campionato nazionale, è stato eletto governatore dello stato di Goa proprio perché ha fatto leva su questo problema.
Incontri indiani: Radici portoghesi
Goa sta riscoprendo le radici lusitane del suo passato di gloria e grandezza, quando era la finestra dell’Occidente aperta sull’Oriente. “Stiamo restaurando non solo chiese e monasteri, ma anche le dimore più monumentali del periodo portoghese”, mi spiega Lucio de Miranda, uno degli architetti indiani più apprezzati, autore insieme al figlio Manuel di importanti opere di recupero architettonico e presidente dell’associazione culturale Goa Portuguesa. “Si tratta di splendide residenze che hanno un notevole valore storico. Specchio dell’evoluzione dei vari stili dal Seicento fino ai primi decenni del Novecento, in un interscambio sapiente fra cultura locale ed europea.
Le più antiche famiglie goane proprietarie di queste dimore si trovano di fronte al grave problema del mantenimento e della conservazione di questo patrimonio che ha costi elevati. Inoltre si sono perse le professionalità artigianali di un tempo. I giovani non conoscono più i segreti dei loro padri che erano abilissimi, ad esempio, nella realizzazione dell’incausto: intonaco di gesso steso a caldo.”
Proprio per questo a Chandor, Alvaro de Bragança Perreira ha aperto ai turisti la sua “Casa dai 28 balconi”, così chiamata dal numero di terrazzi che ne punteggiano la facciata principale. Le stanze si aprono una dentro l’altra in uno sfarzo un po’ acciaccato dal tempo. Il soffitto del salone da ballo è ricoperto di seta azzurra e grandi lampadari fanno risplendere i marmi del pavimento e le specchiere dalle pesanti cornici dorate.
Incontri indiani
Palme e risaie come da copione attorno a Loutulin. Una sorta di Minho Verde tropicale. “Gli antenati della mia famiglia sono arrivati dal nord del Portogallo a Goa al seguito di Alfonso de Albuquerque e non sono più tornati in patria”, mi racconta Doña Margarita Rosa Figueiredo. “Da quelle terre verdissime hanno fatto venire quasi tutto quello che c’è nella nostra casa”. Come non crederle. La cappella di famiglia ne è la prova: azulejos sulle pareti e santi dai fastosi abiti di broccato, soffitto mudejar e altare in talha dourada.
“Abbiamo sempre detto di no a tutti gli antiquari, anche italiani, che hanno bussato alla nostra porta”, mi spiega Ruth Albuquerque che, insieme al fratello Joseph, custodisce con caparbietà teutonica la villa fatta costruire sulle alture di Anjuna dal nonno Manuel Francisco. Ritornato a Goa nel 1916, dopo lunghi anni trascorsi a Zanzibar come console, portò con sé artigiani, ebanisti e carpentieri che riprodussero il palazzo del Sultano di quell’isola odorosa di spezie. Nell’immenso salone, avvolto in un silenzio conventuale, la luce filtra fioca attraverso le vetrate di madreperla e si posa su divani decò e su mobili in ebano intagliato. Nelle stanze e nei saloni, assediati da un silenzio irreale, i ricordi struggenti della Goa Dourada, sogno lusitano svanito nel tempo, venato di struggente saudade10.
Incontri indiani: crocevia di cultura
La “Jagrut Goencaranchi Fauz”, con sede a Mapura, associazione ecologica guidata da Roland Martins e Caroline Colaso, sta portando avanti una campagna per la conservazione dell’ambiente, per un corretto utilizzo delle risorse e diretta a bloccare la speculazione edilizia. “Attualmente siamo impegnati soprattutto sul problema dell’acqua”, mi spiega Caroline Colaso. “Le piscine dei grandi alberghi e l’uso abbondante dell’acqua da parte dei turisti ha provocato una grave carenza idrica, per cui l’acqua viene erogata per poche ore al giorno. Gli hotel hanno rimediato scavando pozzi artesiani e così la falda acquifera si sta abbassando. Come conseguenza si ha che i pozzi dei villaggi si prosciugano o sono invasi dall’acqua del mare.”
Incontri indiani: la cucina dai forti profumi e odori
Ricordo ancora i suoi profumi e odori. Forti, penetranti, aggressivi. Le mille spezie indiane incendiano il palato e insaporiscono i piatti infiniti della cucina locale. Tutti gustosissimi. Non a caso i portoghesi nel Cinquecento si spinsero fino a Goa, sfidando l’Oceano Indiano sconvolto dai monsoni, per avere il monopolio delle spezie allora tanto ricercate in Europa. E qui si compì un miracolo inimmaginabile. Goa divenne il crocevia di culture differenti, punto di incontro di grandi religioni, dall’induismo al cattolicesimo. Ma soprattutto crogiuolo di gusti e sapori. E la cucina goana è specchio fedele di questa variegata cultura. Nei suoi piatti si ritrovano elementi della gastronomia creola, portoghese, africana, indiana e araba, armonicamente fusi tra loro. Carne di maiale e pesce, latte di cocco e spezie, sono gli ingredienti di base di questa saporita cucina11.
In questi ultimi anni si assiste a nuove migrazioni alla scoperta di spiagge non cementificate. Nell’estremo nord e a sud le dune non sono ancora state assalite dalle costruzioni non rispettose della normativa edilizia voluta da Indira Gandhi che pone il limite di edificabilità a 500 metri dalla costa. I villaggi non raggiunti dal turismo di massa e dal popolo dei charter si specchiano nelle risaie e in lagune popolate da aironi cinerini. E ancora. A Gokarn, villaggio ormai nel Karnataka, solo capanne di pescatori e palme. Null’altro.
Un mantra sacro profanato unicamente da saccopelisti spinellati. Mentre subito dopo la sbarra di bambù che segna il confine con il Maharastra, si danno appuntamento nelle notti di plenilunio i più personaggi incredibili del popolo di Goa sulle terrazze del forte portoghese che scende verso il mare. Via dalla pazza folla, per ricreare i mitici paradisi degli anni Sessanta in una natura incontaminata. Ma fino a quando?
Informazioni sul libro: http://www.ebooksitalia.com/ita/
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