Giovedì 25 Aprile 2024 - Anno XXII

A Mahdia tra i figli del vento

Viaggio a Mahdia, la città delle due lune, nel deserto tunisino per conoscere i suoi signori: stalloni asil, pony di Mogod e una donna, Gabriella Incisa di Camerana che ha dedicato loro la sua vita.

Mahdia le mura
Mahdia le mura

“…Lo so che tornerai e mi porterai fuori di qui,
nel palazzo dei venti,
nella terra senza mappe: il deserto..”

(Il Paziente Inglese)

Ci sono silenzi che solo un deserto può colmare. Silenzi che parlano di storia e che raccontano ingiallite pagine di passato. Dipinti con l’ocra dell’oro e vestiti del caldo sapore di un the alla menta. Che serbano tra le pieghe delle loro dune corse senza fine a cavallo o isolati fuochi di berberi. Il deserto che toglie e da la vita…e gli abitanti che lo vivono in ogni sua forma.

Mahdia: la storia infinita

Mahdia porta Skifa el Kahla
Mahdia porta Skifa el Kahla

A sole due ore di distanza dalla frenetica capitale meneghina si trova uno di questi deserti: quello della Tunisia. Sospesa tra il rosso della sua sabbia e la lastra d’ardesia del mare in cui il sole va a morire, sorge l’oasi di Mahdia. Soprannominata la “città delle due lune” Mahdia, giace tra due baie che la delimitano nei suoi estremi. Anche se solo una veduta aerea permette di cogliere appieno il perché del richiamo planetario: le insenature che la racchiudono ricordano, infatti, con la loro forma la Moncef Ghacem, esotico gorgheggio per indicare la luna nascente indissolubilmente abbracciata a quella calante. Scampata, almeno per ora, all’assedio del turismo di massa Mahdia è una regale città dai trascorsi millenari. Per ripercorrere le sue origini è necessario fare un salto nel tempo, al 912 anno in cui Obeid Allah Al El Mahdi si allontanò da Kairouan per attendere un segnale dalle stelle, prima di stabilire la capitale della nuova dinastia dei Fatimidi. Gli astrologi gli lessero nei cieli il segno del leone, simbolo di forza e di potenza e il luogo deputato a divenire una roccaforte inespugnabile fu identificato con Cap D’Africa cui Obeid Allah Al El Mahdi diede un nome, il suo. E da quel giorno Cap Africa divenne Mahdia.

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Asil: tra corse e rincorse

cavallo asir
cavallo asir

“I cattivi spiriti non entrano in una tenda se accanto ad essa si trova un cavallo asil”. E ancora: “per onorare Dio basta tenere un cavallo asil e tutti i peccati saranno redenti”. Questo recita il Corano. Almeno nelle parole del suo profeta Maometto. Da millenni considerati compagni fedeli nella spartana vita dei berberi, gli asil convivono con l’uomo nei testi sacri. Tante le leggende intorno a questi selvaggi abitanti delle dune: una tra tutte quella che vede protagonista il profeta che, al termine di una grande razzia, fece condurre un gruppo di 100 cavalle arabe ad abbeverarsi. Nell’occasione squillarono le trombe e mentre 95 fattrici non cessarono di bere, cinque giumente tornarono al galoppo verso di lui. Divenendo così le sue favorite. Nel pieno rispetto della metafora favolistica dalle cinque cavalle nacquero le famiglie più nobili dei purosangue arabi: la Saqlawi, la Habdan, la Obbeyan, la Kuhayan e la Hamdam. Poco importa quanto di vero esista nella leggenda: i cavalli arabi erano, e tuttora sono per i beduini, una ragione di vita. Non c’era analfabetismo che tenesse: i berberi, pur non disponendo di libri genealogici, conoscevano a perfezione la stirpe dei loro soggetti. Questo perché i cavalli erano considerati i figli del vento che avrebbero permesso loro di raggiungere, il più rapidamente possibile, la ricchezza più preziosa tra tutte: una fonte a cui abbeverarsi.

Mahdia, clicker training: istruzioni per l’uso

Gabriella Incisa di Camerata
Gabriella Incisa di Camerata

Oggi come ieri la dedizione per i cavalli è particolarmente sentita nel mondo arabo e in particolare nella realtà tunisina. Anche se il loro utilizzo corrisponde solo in parte a quello di un tempo. Addestrati per il recupero di malati, costituiscono anche un potente antidepressivo. Ma se frustino e morso sono da sempre stati identificati con la parola addestramento da qualche anno nell’oasi di Mahdia, presso il centro di Abou Nawas, si sta sperimentando un nuovo metodo: quello del clicker training. Il mistero della parola è racchiuso nel suo etimo: click! Vi ricordate il gioco della raganella? Bene, perché il clicker altri non è che una scatoletta di plastica all’interno della quale è posta una lastra metallica che, ogni qual volta premuta, emette un rumore: un click, appunto. Anche se di primo acchito il collegamento tra una scatoletta e un cavallo potrebbe non essere così immediato la logica su cui si basa è invece è molto semplice: all’animale viene mostrata l’azione da compiersi, successivamente si preme il clicker e, in caso di azione esatta riprodotta dall’animale, seguirà un premio. Azione, reazione e premio: un semplice circolo basato sul riflesso condizionato. A tutto vantaggio di un apprendimento dolce, graduale e non coercitivo. Il pioniere del riflesso condizionato fu Pavlov nella seconda metà dell’ottocento anche se solo a partire da metà novecento l’applicazione fu sperimentata sugli animali. Seguirono torbide pagine di storia, in cui il riflesso condizionato fu utilizzato, o meglio sfruttato, per immolare piccioni anti-bomba e delfini anti-mina. Oggi, fortunatamente non è più così. In voga negli States per addestrare animali da compagnia (e comunque sempre di piccola taglia) il clicker vede la sua unica applicazione sui cavalli presso l’oasi di Mahdia. Anche se l’idea è pienamente made in Italy ed ha il blasone di una nobildonna: Gabriella Incisa di Camerana.

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I pony di Mogod: direttamente dal “Signore degli anelli”

I Pony
I Pony

Chiedete a Gabi (come famigliarmente si chiamare Gabriella) chi sono i suoi preferiti. Senza nessuna esitazione lei vi risponderà: “i pony di Mogod. Sembrano usciti dal Signore degli anelli!”. Snelli, alti al massimo un metro e quaranta, dall’occhio vivace ed espressivo, sono annoverati tra i patrimoni della Tunisia. Piccoli abitanti delle cime della Krumiria vengono usati dai locali per trasporto, dai turisti nel gioco del polo. E Gabi? Gabriella li addestra per insegnare loro a interagire con malati e bambini, nel rispetto di questi animali che, data l’esiguità numerica, sono sempre più a rischio di estinzione. Con loro fa lunghe passeggiate fino a raggiungere il grande Chott, immenso ricordo di ciò che un tempo fu un lago salato. E accoglie l’alba che si sveglia tra i monti Mogod. Con loro percorre il dedalo di vie della Medina di Mahdia. E aspetta la fine del giorno, affacciata a quel deserto gravido di risposte.

Per ulteriori informazioni contattare: Centro Ippico “ABOU NAWAS” Mahdia 

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