Giovedì 12 Dicembre 2024 - Anno XXII

Oropa: gemma dei monti

Oropa veduta del Santuario

Una conca ombrosa e impervia nasconde un luogo di fede e di rifugio. Tappa fondamentale per il culto e la cucina tradizionale

La Speranza
Veduta del Santuario
Veduta del Santuario

“Qualcuno si è limitato ad aprire i cancelli, forzando le opposizioni:
una donna, sola come chi è solo, va risalendo la scala che introduce sotto i portici del Chiostro,
lungo le gallerie in fuga verso l’ombra, in cui ricoverare speranze e disegni, cervello e coscienza.
Nessun ostacolo, neppure il greve spessore della neve, impedisce di raggiungere il proprio cuore, di credere e di fidarsi”

(Il cuore del Monte, edizioni “lassù gli ultimi” di Gianfranco Bini S.A.S, Champorcher, 2000. Testi di Maria Teresa Molineris).

Sappiatelo a priori. È una certezza. Peccherò di campanilismo nell’amarcord che seguirà.  Per chi come me è nata e cresciuta tra i monti del Biellese, Oropa non è solo un luogo di culto, cui fare riferimento nei momenti di difficoltà. È qualcosa di diverso: che ha la voce di ninnenanne natalizie cantate dalle campane, i colori dei faggi in autunno e gli aromi della polenta concia.  Il tutto in un gioco cromatico, anche se il suo manto migliore resta quello delle stagioni più difficili: l’oro e il rosso dell’autunno e il bianco dell’inverno.  Parla con i suoi silenzi, Oropa. Con il crepitio del fuoco nei rifugi sabaudi divenuti ristoranti e attraverso il sordo balletto dei fiocchi di neve. E diventa poesia pura se la si vive in settimana, lontana com’è dalla frenesia delle città.

Oropa, una storia lunga sei secoli 
Oropa La Cappella, detta "del roc"
La Cappella, detta “del roc”

Or o Doro? Monte…acqua? E se significasse ponte? L’etimo di Oropa resta un enigma. Potrebbe dire tutto e il suo contrario.  Anche se fonti attendibili lo danno come un luogo di culto celtico.
Cosa non così difficile da credere, se si pensa che nella tradizione antropomorfa dei Celti, boschi, fonti e rupi erano divinità. E dove all’ombra di un passato remoto guerrieri posavano le armi sulla sacra roccia in attesa di prodigi, oggi sono rimaste le capanne dei pastori sparse sul crinale come sassolini abbandonati da un gigante distratto. Un luogo impervio quasi ostico Oropa, nascosta com’è nella sua conca ombrosa, eppure deputata a diventare una tappa fondamentale degli itinerari di culto della tradizione italiana. Grazie a Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli, che legò la tradizione del culto mariano a questo luogo. Con quella che è diventata la sua icona: una Madonna nera, statua lignea scampata alla furia della persecuzione ariana, che riposa ora nel sacello della Basilica Vecchia. A memento del passato sorge oggi una cappella, detta “del roc”, dove prima si ergeva un masso erratico, segnato da croci e coppelle, ricettacolo del tesoro palestinese portato da Eusebio: strenuo difensore del culto mariano. Costruita tra il 1728 e il 1736 dagli abitanti di Fontainemore, località della valle di Gressoney, la cappella “del roc” è meta di uno coreografico itinerario della stessa comunità aostana. Pellegrinaggio che, come tutti i riti, si ripete ciclicamente e con la stessa intensità ogni cinque anni.

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Al cospetto del fedele
Oropa La porta centrale
Oropa La porta centrale

Al termine della galleria di faggi, che soppianta progressivamente lo scenario cittadino, lasciate alle spalle le frazioni di Cossila e del Favaro e superato l’ultimo tornante, si raggiunge uno spiazzo; epilogo della metaforica corsa del fedele alla fonte di salvezza. Siamo arrivati ad Oropa.  Questo piazzale, meglio noto ai biellesi come “il prato delle oche”, è il frutto di vent’anni di lavoro da parte degli operai locali coadiuvati dalle figlie di Maria, che hanno spianato il Colle di san Francesco, formato dai detriti di una morena frontale.  Oltre lo spiazzo una grande cancellata, dai battenti sempre aperti, che conduce alla “porta reale”. Qui, siglata nella pietra, campeggia un’incisione: 1169 metri sul livello del mare. Conferma scritta del fatto che ci troviamo in montagna a dispetto dell’aria frizzante ma mai rarefatta. Soltanto affacciandosi verso la pianura sarà, però, chiara l’altitudine. Biella all’orizzonte sembrerà un presepe colorato, che si vestirà di luci sul far della sera.

 La statua della Madonna Nera
La statua della Madonna Nera

Tutto è piccolo visto da qui: amarezze, sconforti, paure e incertezze diventano concetti relativi ed ogni sensazione assume i connotati attutiti del dolce tempo che fu. Come la facciata della basilica antica, le cui linee semplici evocano l’essenziale purezza dei disegni dei bambini. Racchiusa nell’arco a tutto sesto del portale dell’edificio che la fronteggia, la basilica brilla al sole che la illumina. Questo di giorno: mentre la notte si veste d’argento grazie alla polvere di mica che la percorre.  Ma non fermatevi alla facciata e percorrete le sue navate all’interno. Qui, protetta dall’altare campeggia la statua della Madonna nera. Alta 132 centimetri è ricavata da un tronco di cirmolo. Per anni ornata di gioielli, ex voto di nobili quali la moglie di Carlo Alberto, Maria Teresa di Toscana, è da poco tornata alla sua primitiva linearità. Volto dolce e al tempo stesso austero; manto blu, le cui stelle sono le pieghe del vestito: i dettagli fanno la bellezza di questa statua. Il crepitio delle candele e le note dell’incenso completano l’insieme permeando il sacello della basilica vecchia di intenso misticismo.  Serbare il silenzio è un imperativo categorico. Per non rompere l’armonia raggiunta e per evitare di essere redarguiti dalle guardiane del santuario

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Le guardiane del Santuario
Suore dell’ordine delle figlie di Maria
Suore dell’ordine delle figlie di Maria

Gonna ampia e lunga,cintura in vita, uno scialle blu fermato da una spilla e una cuffietta bianca inamidata sul bordo. Questa è la divisa delle “figlie di Maria”, vestali di Oropa. Fondato da Caterina di Savoia nel 1600, l’ordine ha una struttura atipica, non disponendo di casa madre né di case dipendenti. Questo perché la finalità della congregazione è esclusivamente la cura del santuario. I ritmi scanditi all’interno della comunità sono quelli tipici di una famiglia: casa, lavoro, chiesa e ancora casa. Oggi il “piccolo esercito” appare decimato nel numero anche se le sorelline sono instancabili nell’adempiere i loro doveri quotidiani: fornendo informazioni ai pellegrini, o curando la basilica. Poco importa se adornandola di fiori o lucidandola con strofinacci.  Il tutto cantando, cantando sempre: dolci litanie che cullano il pellegrino nel suo itinerario di fede tra portici e cappelle.

La pace dello spirito e del “gusto”
Oropa, piatto tipico: la "polenta concia"
Piatto tipico: la “polenta concia”

Il clima sacro del santuario non preclude però un peccato: la gola. Che trova ristoro davanti a un piatto fumante di polenta concia. Scoppiettante, servita bollente in un guazzetto di burro fuso, è un sapore rustico ma al tempo stesso fine e gradevole. Bomba per il colesterolo, la polenta resta un’esperienza da provare: morbida crema di mais preparata con acqua e latte in cui muore la tometta locale.
Il “ris an cagnun”, è una variazione sul tema: riso bollito cui va aggiunta una fetta di toma, burro soffritto e un tuorlo d’uovo. Imperdibili sono i “capunit” e le “fior pienne”. I primi sono involtini di verza ripieni di carne, patate e pane raffermo, mentre le seconde sono fiori di zucca farciti con lo stesso ripieno e soffritte nel burro. Anche se l’esperienza papillo gustativa sarà incompleta al netto del dolce. E allora “Canestrej” e “turcit” chiuderanno la sinfonia dei sapori biellesi.

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Oropa, ieri, oggi. E domani?
Oropa le Gallerie ex Voto
Oropa le Gallerie ex Voto

Dal culto animista dei celti alla lotta contro l’eresia ariana, in nome di una statua.
Dalle piccole guardiane del santuario alle dodici cappelle in memoria di un itinerario mariano. Dai colori dei faggi in autunno ai sapori che percorrono gli infiniti portici silenti. Questa è Oropa. Almeno per oggi. E domani? Sembra che la chiesa nuova elaborata dall’architetto Giovan Battista Feroggio, non sarà più un elemento a sé stante, isolato dal santuario. Ne diventerà, invece, parte integrante. Il tutto a discapito della Basilica Vecchia? Assolutamente no: la Basilica Vecchia è una certezza inamovibile per i Biellesi, credenti o meno. Poco importa. Lo raccontano le migliaia di ex voto sparsi nei corridoi antistanti. E lo racconta la teca che custodisce nel suo scrigno il cuore del Santuario: una Madonna nera alta, o piccola, 132 centimetri che annunciò la pace e guarì dalla pestilenza.

Info: https: www.santuariodioropa.it/

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