Gioia si, ma anche stimoli per riflettere
Del mio Camino non mi pare di aver conservato altri ricordi tangibili, ulteriori memorabilia da esibire. La zucca-borraccia è ormai superflua visto il buon numero di bar e osterie lungo il percorso. La concha (conchiglia) del peregrino, da cucire alla capa o appendere allo zaino, prodotta da madre natura nel mare, ormai la trovi soltanto in pescheria; lungo “l’autostrada delle fede” ti vendono soltanto capesante di plastica con croce di Santiago impressa con il computer (un’ombra di compromesso all’incalzare della “civiltà” ogni tanto va pure pagato, o no?).
Ma ben più importante di quanto mi è rimasto ”fuori” (da far vedere alla cosiddetta “gente” che ormai ama solo chi appare e non chi è) resta ciò che ho conservato “dentro”, non appiccicato al muro, ma in testa.
Intendo però evitare i soliti luoghi comuni e lasciare ad altri le meditazioni su religiosità, valori dello spirito, eccetera; non sono un credente doc e pertanto mi ritengo il meno adatto a dissertare su questi importanti argomenti fuori dalla mia portata.
Resto comunque certo che quanto sopra ha solo parzialmente a che vedere con la grande esperienza umana che ti fornisce il Camino, con l’opportunità di trovarti o ritrovarti con te stesso, di conoscere in pochi giorni di marcia silenziosa più di quanto hai in precedenza tentato di capire sulla tua esistenza, di misurarti con la natura che ti circonda (così misteriosa e intrigante da importarti poco se querce e scoiattoli sono spuntati e nati spontaneamente o li ha creati Qualcuno), di conoscere altri tuoi simili non per quanto possano renderti, esserti utili (come l’esecranda fame di seconde case e mutande firmate oggidì comandano) bensì a livelli di amicizia ancorché occasionale, solidarietà, pari dignità, genuina spontaneità.
Se poi, oltre ad aver fatto astrazione da spiritualità, religione ecc., anche le parolone di cui sopra altro non fossero che aria fritta, beh, a chi mi domandasse perché ho affrontato la scarpinata del Camino non mi resterebbe che ricordare il commento di Sir Edmund Hillary a chi gli chiese per quali motivi fosse andato sull’Everest: “Perché era lì”, rispose.
Le tappe del cammino: date e numeri
25 agosto 2002
– Depositato dalla sposa-autista a O Cebreiro (passo di Pedrafita della strada Ponferrada–Lugo, 1300 metri s.l.m., 11° nella nebbia) verso le 9 comincio il Camino gallego, in Galizia,150 chilometri a Santiago de Compostela). Timbro la Credencial ottenuta a Santo Domingo de la Calzada e affronto la prima delle cinque tappe programmate, a Sarria, 38,5 chilometri.
Mica li potrò percorrere tutti a piedi, ma visto che per conquistarmi la Compostela devo sommarne almeno 100, la matematica mi impone di compierne come minimo 20, e spiccioli…”andando”!
Per chi fosse logisticamente meno fortunato (e organizzato) di me, Josè Carballo Nuñez (movìl 670 681 832, tel. 982 367 165) provvede a transfer in taxi a 9 posti. Cammino fino a Hospital da Condesa (6 km) indi salgo sul coche-escoba (anche al Giro d’Italia c’è un’auto-ramazza che raccoglie i girini in crisi) fino a Triacastela e di lì, a una biforcazione del Camino, riprendo la marcia inoltrandomi nei bei boschi atlantici di querce, non meno che faticosi sentieri che conducono a Samos (splendido il suo Monasterio, tra i più antichi di Spagna).
A Samos si mangia e si dorme all’Hostal Victoria (tel. 982 546 184) e all’hotel A Veiga (tel. 982 546 052). Rifocillato, mi rimetto in movimento verso Sarria, fino a chiedere l’intervento della sposa-autista a 2 km dalla mèta.
Ho percorso 24,3 chilometri. Riposo in albergo (buona la camera dell’Alfonso IX della NH, pediluvio freddo nella vasca da bagno, un’ora con le zampe in alto appoggiate alla parete). Cena al ristorante O Camino (danno ancora da mangiare alle 23.50: salpicòn di cozze, gambas al ajillo, funghi a la plancha).
26 agosto – L’aglio dei gambas e dei funghi può aver aiutato a smaltire l’acido lattico per meglio affrontare i 21,5 chilometri di Camino tra Sarria e Portomarìn. Chi non viaggia con sposa-autista, a Sarria trova taxi alla Parada (stazione, tel. 982 530 028) o dal taxista privato Roquell (movìl 608 101 737).
Accompagnato in auto fino alla Iglesia de Santiago, a Barbadelo, proseguo pedibus calcantibus fino a Portomarìn, aggiungendo 17 chilometri in onore di Santiago Apostol. Cena a lo grande con eccellente anguilla locale al Mesòn do Loyo (3 chilometri da Portomarìn verso Paradela, tel. 982 545 012, che ha anche camere in affitto), persino imbarazzante la pochezza del costo.
Meditare osservando la templare chiesa (meglio dire fortezza) di San Nicolàs, XII secolo, disfatta e ricostruita pezzo per pezzo quando, nel 1962, il vecchio paese fu “trasportato” a monte per dare spazio a un lago artificiale. Notte nella bella Pousada de Portomarìn (tel. 982 545 200). Taxi a Portomarìn al 982 545 043.
27 agosto – In programma oggi 23,9 chilometri “ufficiali”: non baro, sono dichiarati nella Guia Pratica del Peregrino, la Bibbia del Camino di Millàn Bravo Lozano) da Portomarìn a Palas de Rei. Autotrasportato fino a poco prima di Toxibò, tocco terra e mi affido a bastòn e scarp de tenis per giungere en solitario a Palas de Rei, senza ulteriori interventi esterni, percorrendo ben 20,3 chilometri.
Notte (e cena mica male) alla Casa Rural Parada das Bestas a Santa Maria de Pidre (tel. 982 183 614). I normali hotel non sono cari e non è comunque difficile trovare camere private per 12 Euro o poco più. Ancor meno, solo un irrisorio donativo, per dormire negli albergues del peregrino. Alle 8 si deve uscire, normalmente aprono alle 13 e chiudono alle 23, ma, sappiano i motorizzati: las personas que lleguen en vehiculo de apoyo, coche, moto, seràn las ultimas en alojarse en los albergues; le persone che arrivano “motorizzate”, saranno le ultime ad essere alloggiate!
Lungo il Camino (meno boschi e paesaggi bucolici di ieri, si attraversano più paesi), molti menu del peregrino per 6/8 Euro, ricos, quindi adatti a chi consuma calorie scarpinando (ed è pure compresa, postre finale, la canonica tarta de Santiago).Taxi a Palas de Rei, tel. 981 374 103.
28 agosto – Sono abbastanza “in media” per completare i chilometri prefissati, finora non ho avuto problemi. Il più comune? Le vesciche ai piedi: il non spagnolo che percorre il Camino impari per tempo la parola ampolla: prima o poi la pronuncerà davanti al farmacista (che lo attende sulla porta della bottega, già conoscendo il motivo della visita). Meno frequenti e ben più gravi, le distorsioni e altri guai al ginocchio: durante il Camino si impara anche quanto sia importante questa articolazione.
Oggi bastano 20,5 chilometri (e tanti ne ho camminati partendo da Cornixa) dei 28,6 intercorrenti tra Palas de Rei e Arzùa. Mi muovono a tenerezza i ponti medioevali di Furelos e di Ribadiso (paesaggio bucolico e antiguo Hospital de San Antòn, secolo XV, ancor oggi albergue, 46 posti, chi vi ha dormito non può dormire in quello della vicina Arzua).
Notte e cena nel bellissimo Pazo de Sedor, una casa nobile gallega del Settecento a Castaneda, 5 chilometri da Arzua, Maria Saavedra, movìl 696 43303, tel/fax 981 193 48.
29 agosto – Da Arzùa a Santiago de Compostela, 38,4 chilometri. Comincio da Rùa la mia ultima tappa da peregrino a pie. Dalla partenza tra i monti di O Cebreiro il paesaggio è molto cambiato, adesso si procede tra pascoli (Arzùa è la capitale gallega del formaggio, la morbida tetilla, chi ne vede le fattezze capisce il perché del nome) e dolci colline ombreggiate da eucalipti.
C’è nell’aria una sorta di eccitazione – Santiago e la Plaza del Obradoiro sono ormai a portata di piede – l’entusiasmo aumenta il passo di tutti, tranne uno, lo scrivente: mi sento come il carpigiano Dorando Pietri alla maratona dell’Olimpiade di Londra ed escludo (oltretutto lo respingerei) che un cireneo mi dia una mano a percorrere gli ultimi metri. Come Fausto Coppi, poi, ho anch’io il mio Pordoi: il Monte do Gozo (Monte della Gioia, del piacere di essere arrivati alla conclusione del Camino) dalla cui sommità si vedono le torri della cattedrale di Santiago.
Supero anche quest’ultima asperità ed entro in città zigzagando, ahimè, tra semafori e auto in sosta: è il prezzo da pagare alla cosiddetta civiltà. Rimpiango i castagni e le querce tra Triacastela e Samos, pur di transitare allo loro ombra rischierei pure l’apparizione del demonio.
La punta ferrata del bastòn scivola sul lastricato di Plaza del Obradoiro. Ho percorso esattamente 20 chilometri: ce l’ho fatta, ritiro la Compostela. Sono felice. Se vogliamo, la felicità è fatta di poco.
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