Macchine per scrivere
Il contenente si vede. Ma il contenuto? Dove sono i prodotti Olivetti, quelli che il giornale del MOMA (Museum of Modern Art) di New York descriveva come: “…un capolavoro di ordine, semplicità, progetto…” (la Lexicon 80)?
Beh, ogni tanto vengono esposti in mostre specifiche, ma normalmente si possono vedere (previa telefonata) all’Archivio Storico di Villa Casana.
Qui rivivono la leggendaria “M1” dell’Ing. Camillo Olivetti (1911), la “Lettera 22” di Marcello Nizzoli (1950), portatile diventata un mito in tutto il mondo, la “Valentina” di Ettore Sottsass (1969), con quel vestito rosso provocante.
Pezzi di memoria, e di “core”, per chi ha lavorato prima dell’era dei personal computer.
Le Officine della Cultura
Sarebbe piaciuto agli Olivetti, perché è l’evoluzione del loro progetto.
Le Officine ICO, in particolare l’Officina H, sono diventati un’altra cosa.
Un auditorium per concerti di musica classica e una sala per spettacoli ed esposizioni, come quella permanente che mostra la collezione di Casa Olivetti, cinquantacinque artisti del Novecento: da Morandi a Kandinskij a Guttuso.
Il progetto ICO, in realtà, è molto più vasto, perché prevede un polo universitario di eccellenza, un’area produttiva per imprese innovative e il centro di produzioni culturali.
Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa
L’asilo nido di Mario Ridolfi, del 1964. Ampie terrazze delimitate da pannelli traforati e gazebo che si affacciano sul Canton Vesco.
Qui si sta preparando “l’Archivio Nazionale del Cinema d’Impresa”, un’immensa memoria delle imprese italiane che la Città, con la Regione Piemonte, la Scuola Sperimentale di Cinema, la Telecom, si prepara nel 2004 ad offrire ai visitatori e agli studiosi. Un modo parallelo di vedere la storia e il cinema, una testimonianza concreta del lavoro, dell’ingegno, delle capacità imprenditoriali.
Una specie di riassunto del Novecento, delle grandi trasformazioni che hanno proiettato l’Italia in una dimensione industriale. Con autori di prestigio, come ad esempio Olmi, Bertolucci, Risi, Antonioni, i fratelli Taviani, Storaro, Orsini.
L’Archivio nasce per contribuire alla catalogazione, all’analisi e alla valorizzazione della mole di materiali realizzati da e per l’impresa a partire dalle origini del cinema. Basti pensare che “film di impresa” è già la prima e celebre pellicola girata nel 1895 dai fratelli Lumière, industriali di Lione, per mostrare l’uscita degli operai dalle loro officine. E il primo documentario girato in Italia dall’Ambrosio Film di Torino nel 1905, “La corsa Susa-Moncenisio”, dedicato all’auto che, con il cinema stesso, è il simbolo dell’industrializzazione mondiale.
L’industria ha utilizzato il cinema per guardarsi allo specchio, analizzando i processi di produzione, sezionando la filiera di fabbricazione dei prodotti, documentando a scopo formativo, politico, sociale o autocelebrativo, tecnologie, ambienti e rapporti dell’organizzazione del lavoro che voleva proiettare nella società.
Con il materiale filmato è dunque possibile risalire negli anni per documentare una storia visiva dei rapporti umani, delle relazioni sociali, dello sviluppo tecnologico. Una storia delle merci e dei consumi che abbraccia anche il film pubblicitario.
La nuova sede di Ivrea, dove confluiscono le collezioni della Cineteca Nazionale di Roma e di diversi archivi industriali, è tecnologicamente avanzata, con depositi di conservazione dei materiali per circa cinquantamila bobine.