Pantelleria, dove l’universo pantesco è fatto di piccole cose, disseminate in un paesaggio di grande varietà: baie dall’acqua trasparente raggiungibili solo dal mare, paradiso per gli amanti delle immersioni; calette contornate da curiose sculture rocciose che si tuffano nell’acqua, verdi colline terrazzate per le coltivazioni dell’uva, sorgenti termali, fino a un paesaggio di montagna che al centro dell’isola raggiunge gli ottocento metri. Ovunque, mimetizzati nella natura, si trovano i dammusi, le tipiche abitazioni pantesche di origine araba: singole o a gruppi, bianche con il bordo rosa, oppure in pietra lavica con le cupole candide. L’isola è ricca del fascino delle diverse popolazioni che si sono avvicendate nel corso dei millenni: Fenici, Romani, Bizantini e, dal 700 d.C. gli Arabi, che introdussero la coltura dell’ulivo e dettero impulso a quella dell’uva di zibibbo. La dominazione araba durò fino al 1200 e nel 1860 l’isola fu annessa al Regno d’Italia.
Un’isola di roccia lavica
Pensare che Pantelleria sia un’isola nel senso più tradizionale del termine potrebbe portare a una delusione. Che l’acqua che circonda questa terrazza sul mare inviti a tuffarsi e sia fra le più belle e più pulite del “mare nostrum” è un dato inconfutabile; al punto che circumnavigare l’isola a bordo di una barca è un’esperienza da non perdere. Ma a Pantelleria non ci sono spiagge e la vita si svolge “in alto”; il mare lo si guarda da lontano. Una settimana è il periodo ideale da trascorrere sull’isola per chi cerca tranquillità e desidera “staccare” dai rumori di sempre. Se l’intenso azzurro del mare, il verde rigoglioso della flora invitano all’ozio, lasciare l’isola senza aver però fatto un giro lungo le coste e all’interno, sarebbe un vero peccato. Anche perché a Pantelleria non esistono mezze misure: quest’isola selvaggia di origine vulcanica o ti cattura o ti respinge. La seduzione non è però immediata e consiste comunque in piccole scoperte che si svelano poco a poco, girovagando qua è là, complice il tempo che qui, per fortuna, scorre lentamente. Su quest’isola regna il silenzio, rotto soltanto dal turbinio del vento che soffia per oltre trecento giorni all’anno, tanto da essere stata soprannominata “bent-el-rion” (dall’arabo “figlia del vento”); così raccontano il vecchio marinaio e il vecchio che vende capperi all’angolo della strada, ricordando inoltre il modo di dire “siamo qui di passaggio”, espressione di quel sentimento di insularità che pervade la gente dell’isola.
Paesaggi dell’interno
Oltre alla “perimetrale”, la strada asfaltata che corre attorno all’isola, a Pantelleria esistono strade asfaltate minori, strade sterrate e sentieri. Non si tratta di percorsi impegnativi anche se le salite in alcuni punti sono piuttosto irte; chi ha voglia di camminare e dispone di un paio di buone scarpe da trekking, non incontra difficoltà. Uno dei percorsi più affascinanti è quello che dalla costa nord dell’isola porta al lago di Venere, una delle numerose sorgenti termali, oltre a quelle di Gadyr, di Sataria (dove una delle molte leggende vuole che Calyspo abbia ospitato Ulisse), di Nicà a sud e delle Favare vicino alla Grande Montagna e al Onte-Gibele, all’interno. Qui è possibile percorrere il sentiero intorno al lago e salire in campagna fino alla contrada di Bugeber. Difficile dimenticare il gioco cromatico di colori che si gode, con lo sguardo che raggiunge il mare fino al faro di Punta Spadillo.
L’Arco dell’Elefante
Un’altra zona interessante per i numerosi percorsi da trekking si trova nel centro dell’isola. Da Cala Levante, dominata dal Faraglione di Tracino e dall’Arco dell’Elefante, un’enorme promontorio che riproduce la testa del grande animale con la proboscide immersa nel mare, una strada in salita conduce prima al borgo di Tracino e poi verso Mueggen; da questo punto diversi sentieri percorribili, in circa due ore di cammino, portano alle due montagne più alte dell’isola: il Monte Gibele, alto 715 metri e la Montagna Grande di 836 metri, sino alle Favare, getti di vapore provenienti dal terreno e dalla roccia e alla piana Ghirlanda e Barone, dove si trovano le tombe bizantine. Lecci, pini, corbezzoli e ginestre dominano questa zona che offre un panorama di incredibile bellezza. Le possibili escursioni non si limitano a quelle descritte; con maggiore tempo a disposizione, non è facile decidere se restare incantati a guardare il mare dall’alto o ritornare “in campagna”, fra le braccia di una natura verdissima.
Pantelleria dal mare
Per chi ama conoscere l’isola dal mare, una piccola barca a motore è l’ideale per poter ancorare nelle numerose calette, altrimenti irraggiungibili da terra.
Cala Levante è la meta più suggestiva e gli ancoraggi a ridosso dell’arco dell’Elefante o a sud del faraglione di Tracino sono i più indicati per fare il bagno, tempo permettendo. A nord di questo grande scoglio si trova Cala Tramontana, mentre nei pressi del faro di Punta Spadillo meritano una sosta Cala Cinque Denti e il laghetto delle Ondine. La costa meridionale, più disabitata, si presenta ricca di angoli suggestivi, mentre il paradiso dei subacquei e la zona più interessante per le immersioni coprono la parte orientale dell’isola, da Punta Spadillo a Campobello.
Per chi vuole raggiungere l’isola con la propria barca, è bene tener presente che la traversata dalla Sicilia richiede prudenza, soprattutto navigando di notte e per via della nebbia, frequente in estate. Gli unici porti dell’isola sono Pantelleria e Scauri. Gli altri ancoraggi sono consigliabili durante il giorno, per godere appieno della bellezza del mare.
I Capperi, fragranti e stuzzicanti
Allettanti e antichi come la terra da cui provengono, tra le specialità tipiche di Pantelleria spiccano i capperi e il Passito, il vino dal sapore vellutato e dal colore dell’ambra, ideale per accompagnare dolci e dessert. Furono autori come Plinio e Dioscoride a parlare per primi dei capperi panteschi, definendoli “prelibatezze” che crescevano spontanee sull’isola e ai quali venivano addirittura attribuite proprietà afrodisiache.Il passare del tempo non ha mutato i gusti. Secoli dopo Carlo Volontè, nel suo “Ricette Pratiche” scriveva: “E’ proprio l’Italia che vanta i migliori capperi del mondo: sono quelli dell’isola di Pantelleria, dove oltre a crescere splendidi allo stato spontaneo, vengono coltivati su ampia scala”. E’ davvero difficile descrivere il profumo e la fragranza di questi piccoli frutti verdi: consumati da soli o adagiati su un’invitante bruschetta, sono uno spuntino stuzzicante per accompagnare l’aperitivo e fare da trait d’union tra un buon bicchiere di vino e la cena, dove compaiono nuovamente nei sughi, nei contorni o nelle insalate.
Il Passito, figlio dell’uva Zibibbo
Anche il vino Passito ha origini che si perdono nella memoria e i vigneti di questa piccola isola battuta dai venti ci parlano di antichi fasti e leggende. Furono i Punici, nella persona del generale cartaginese Magone, ad ottenere per primi il Passum, un vino aromatico, profumato e dolce. Quell’arte antica è arrivata sino ai nostri giorni. A Pantelleria la coltivazione dello Zibibbo, l’uva da cui si ricava il passito e che deve appassire al sole per circa venti giorni, al riparo dai venti salmastri, è ancor oggi molto diffusa, complici il sole e la brezza mediterranea, indispensabili per conferire al vino l’inconfondibile profumo. Occorrono circa quattro chilogrammi di uva per fare un litro di passito. Dopo la diraspatura, la selezione e la pigiatura, si passa all’affinamento in botte, un processo che può durare da uno a sei mesi, a seconda delle dimensioni delle botti che sono di rovere o di castagno. Il risultato del felice matrimonio tra una tradizione vecchia più di duemila anni e le innovazioni tecnologiche, è una bevanda squisita, dal color oro brillante, dal sapore vellutato, con gradazione alcolica di circa 14-15°; più liquoroso se raggiunge i 21,5°, di qualità extra se supera i 23,9°. Dolce e carezzevole al palato, il Passito di Pantelleria si rivela perfetto per accompagnare i dolci locali, dalle frittelle ricoperte di miele, ai ravioli ripieni di ricotta e cannella.
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