Il Donegal è una delle trentadue contee dell’Isola d’Irlanda nella provincia dell’Ulste che non fa parte dell’Irlanda del Nord. Sull’orizzonte, oltre le onde che stanno per inghiottire il piccolo molo di pietra scura, la sagoma di una grande testuggine di basalto appare e scompare continuamente tra nuvole, scrosci di pioggia e le luci di un sole sempre diverso. E’ Tory, isola-microcosmo di poco più di duecento anime che, quando vengono escluse dal resto del mondo da una delle tante tempeste che impazzano lungo la costa del Bloody Foreland, si consolano ammazzando il tempo al pub, magari quello aperto nel 1985, quello “legale”. Anche perché qui da sempre regna il “poteen”, un distillato di orzo e zucchero proibito dalla legge, ma ancora oggi in uso in questi angoli di mondo dove la “Garda”, la polizia, si fa vedere solo raramente. Oppure, prima di rintanarsi come aragoste negli anfratti di roccia sommersa, i vecchi di Tory guardano il mare, verso ovest dove non c’è più nulla fino alle coste americane, e si consolano dicendo “…la prossima parrocchia è Brooklin, USA”.
Clima e colori luminosi. Segni distintivi d’Irlanda
Per capire un celebre detto di George Bernard Shaw, “… l’Irlanda è prima di tutto un clima“, bisogna arrivare qui nel Donegal, vero cuore “dell’isola dei santi e dei sapienti”, dove le grandi nuvole che galoppano in cielo modellano scenari dall’atmosfera quasi stregata. Una magia che oggi sopravvive soprattutto in questo nord-ovest estremo di scogliere selvagge, di torba e di “glens”, le vallate di origine glaciale dove l’erba alta della brughiera è piegata dal vento incessante, di montagne dominate da tumuli funerari di antiche regine. Sentieri dal percorso assurdamente tortuoso serpeggiano tra fazzoletti di terra verde, racchiusi da un reticolo di muri di pietre a secco che dividono il paesaggio in piccoli quadrati, perdendosi all’infinito.
Nei paesi, spesso una lunga strada scandita da pulitissime casette dai colori accesi; i negozi ricordano certi drugstores del West americano: conserve sugli scaffali mischiate a un ritratto di Giovanni Paolo II, vasi di vetro pieni di caramelle, pile di gomitoli di lana e bottiglie di “whiskey”, “…una formula che gli scozzesi ci hanno rubato”.
Donegal nei pub lo spirito gaelico
Un pub non è mai troppo lontano, fresco in estate e caldo in inverno, confortevole nella sua penombra; il luogo in cui ci si saluta, si commentano le ultime corse di cavalli, si ascolta la musica, si parla… e si beve. Proprio l’isolamento ha salvato l’anima profonda di una regione amata in modo struggente dagli irlandesi, dove gli ultimi “Gaelchtact”, le enclave di lingua e cultura gaelica, sono ancora vive e vissute, nutrite da un paesaggio che ha la forza della storia e delle leggende. Può incarnarsi, quest’anima, anche in inquietanti bamboline annegate tra centinaia di strisce di stoffa appese dai pellegrini presso la sorgente di Doon Well, presso Kilmacrenan, per ringraziarla delle sue virtù curative. E non a caso a poche centinaia di metri, ancora venerata dalla tradizione popolare, si alza l’antica roccia sacra di Doon Rock dove gli O’Donnell, ”chieftains” dei clan del Donegal, prestavano giuramento davanti al loro popolo.
La storia qui può anche rivivere nelle scure scogliere di Fanal Head, battute perennemente da un mare che sembra assestare colpi di maglio, testimoni del naufragio di molti galeoni dell’Invicible Armada che cercavano di ritornare in Spagna doppiando le coste irlandesi.
I segni magici e le superstizioni di un popolo
E’ un incantesimo di luoghi ma soprattutto di un popolo, i Celti, qui più vivo che mai, legato alle sorgenti, ai boschi, alle radure, piuttosto che a imponenti monumenti. In un paesaggio quasi immutato dalla notte dei tempi, i misteriosi cerchi di pietre che si incontrano camminando nelle brughiere, i forti rotondi nascosti in fondo a una valletta erbosa, raccontano uno strano universo di linee e di simboli, cerchi concentrici, spirali, cupole, donne stilizzate, onde, losanghe. Per alcuni è un vocabolario incomprensibile, per altri sono puri motivi ornamentali; forse invece è la rappresentazione dell’universo raccontata da un popolo che sapeva vivere in comunione con la natura e scolpiva sulla pietra quello che vedeva o di cui supponeva l’esistenza nel cielo stellato. In questo universo fantastico, dove mito e realtà si confondono, il buon popolo dei folletti, il “daoine maithe”, si diverte a fare dispetti agli uomini; i “leprekaun” fabbricano scarpe per le fate, le sirene si possono catturare solo quando escono dal mare per pettinarsi e nella notte di “Samain”, l’Halloween anglo-sassone, il tempo è abolito e i viventi possono impunemente dare uno sguardo all’aldilà dietro le croci celtiche dei piccoli e romantici cimiteri addossati alle antiche abbazie, sembra di intravedere una “Banshee”, la donna-fata, la messaggera che annunciava sciagure e indicava agli uomini la strada per l’altro mondo.
Donegal, pecore bianche su prati verdi e marroni
Ma le vere signore del Donegal, padrone di uomini, streghe e folletti, sono le pecore, piccoli fiocchi bianchi isolati sui fianchi delle montagne, raggruppate al riparo di una roccia o sdraiate sull’asfalto riscaldato dal sole. Fungono anche da indicatori atmosferici, quando si disperdono sui pendii farà bello, se sono in pianura pioverà. Qui nasce anche il migliore tweed d’Irlanda, un nome che deriva dal gaelico “twill” e indica la tipica trama diagonale, ma i Celti lo chiamavano “clò mor”, il “grande tessuto”. I suoi colori anticamente indicavano anche lo status sociale di chi lo indossava; i re potevano usare fino a sette colori, poeti e bardi sei, i guerrieri tre e i servitori uno. Il verde veniva dall’erica, il marrone dalla torba, il rosso scuro da un lichene grattato via dalle rocce, “crotal” in gaelico, il viola dai mirti. Erano figli di un universo che aveva gli stessi colori, perché non è vero che l’Irlanda è l’isola di smeraldo, un mondo monocromatico dominato da infinite sfumature di verde. L’Irlanda è molto di più, soprattutto nel Donegal. E’ il rosso delle praterie d’erica a picco sulle scogliere di Slieve League, le più alte d’Europa. Sono i colori caldi, nei fuggevoli momenti di sole, delle spiagge di Malinmore, è il giallo della paglia che ricopre ancora molte case, imbrigliata da reti tese per impedire alla furia del vento di portarsela via. Sono i verdi e gli azzurri pastello delle case di Killibegs, paese di pescatori dove il ritmo della vita è scandito dalla partenza e dall’arrivo dei pescherecci.
… e dappertutto, la torba
Al Lone Star, il pub del porto, l’arrivo delle navi significa la festa, quando le famiglie si riuniscono e si raccontano gli eventi lieti e tristi avvenuti nel periodo di separazione, al suono di nostalgiche ballate vicino al fuoco della torba, “l’irish bog”. “Nessuno di coloro che hanno frequentato le coste dell’Eire dimenticherà mai l’odore particolare del fuoco di torba” ha detto lo scrittore Leon Uris. E se è vero che questa sorta di pelle nerastra ha trasformato intere regioni in deserti in cui non si coltiva quasi più nulla, senza la torba il Donegal perderebbe i colori di tweed e le sue pecore che si accontentano di una vegetazione austera. E forse perderebbe anche questo aspetto da fine del mondo, di paesaggi che sembrano e non sono, di acqua e terra fuse in maniera inestricabile e di maree che fanno nascere e morire le grandi spiagge bianche nello spazio di un giorno, di isole che appaiono e scompaiono nelle brume.
Donegal e il Tweed
Si fa presto a dire tweed, perché non si parla solo di un tessuto ma di qualcosa che è intimamente legato a un popolo, i Celti, e a un paesaggio, quello del nord-ovest irlandese e delle isole Ebridi in Scozia. I colori del tweed, prodotto dalla lana dalle tipiche pecore “Cheviot Blackface” introdotte nel secolo scorso dai “landlords” inglesi, un tempo erano legati agli elementi naturali disponibili, ma oggi solo pochi produttori utilizzano questi procedimenti vegetali molto costosi, anche se il vero tweed è ancora tessuto a mano. Alla tradizione sono legati anche i differenti orditi: dal pied-de-poule all’herring bone (spina di pesce), dal prince of Wales al loverchecked. Da sempre pescatori e pastori in Irlanda e in Scozia usano indumenti di tweed, ma se si deve parlare di uno scopritore, allora probabilmente il titolo va attibuito alla contessa, inglese, di Dunmore che lo introdusse nei salotti londinesi nei primi decenni del secolo scorso. Il successo fu immediato e rapidamente il tweed divenne indispensabile nell’abbigliamento del vero gentleman.
Nel 1908 venne fondato il mercato di Ardara, nel cuore della zona di produzione del tweed irlandese e ancora oggi, nonostante gli innumerevoli tentativi di imitazioni, il Donegal rimane, con le isole Ebridi in Scozia, una delle aree d’origine di un tessuto la cui popolarità sembra resistere a qualsiasi moda.
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