Che Serra da Capivara sia un luogo speciale lo si capisce all’istante. A cominciare dalla pista del pittoresco comune di Sao Raimundo Nonato, sulla quale atterrano i Piper provenienti dall’aeroporto di Teresina: cinquanta metri d’asfalto che interrompono una distesa brulla, punteggiata da cani e asini selvatici che riposano stravaccati, i sensi tesi a carpire refoli di frescura.
Per proseguire con i volti di chi vive questa terra, aspra e selvaggia, dove la scansione del tempo sembra rallentata e il presente corrisponde al nostro passato. Un luogo onirico la Serra da Capivara, che custodisce un segreto lungo milioni di anni. Un segreto che è insieme un’origine: quella dell’uomo.
Tra “certao” e “caatinga”
Al centro di quello che è stato nominato “poligono dell’aridità”, la caatinga si mescola alla savana. Qui, dove l’impatto delle irregolarità climatiche del nordest è reso più violento, esiste una frontiera geologica, punto di incontro tra una catena di monti ininterrotta e la depressione periferica del Sao Francisco, il più grande fiume del Nordeste. Lo scontro di queste due formazioni è marcato da una sequenza di pareti verticali di rara bellezza che racchiudono, con le loro propaggini, un parco dell’estensione di tredicimila ettari nel bacino sedimentato a cavallo delle regioni del Maranhão e del Piauì.
La Serra da Capivara è emersa dalle profondità degli abissi ventidue milioni e mezzo di anni fa, formando una catena di valli e grotte, dai profili accidentati, disegnati da un’arenaria scolpita dall’acqua ed erosa dal vento. Oggi il clima di questa regione è prevalentemente arido anche se, tra Marzo e Aprile, si assiste ad una metamorfosi di proporzioni bibliche.
Un considerevole volume d’acqua si riversa, allora, sul suolo con una forza tale da causare frane e smottamenti. I torrenti trasformano le gole delle valli in letti di fiume nei quali l’acqua si scarica con tale violenza da strappare alberi, arbusti e tutto ciò che si frappone lungo il percorso. Nel periodo delle piogge la natura esplode: la foresta si veste di verde e profuma degli aromi esuberanti tipici dei tropici.
Per un periodo breve, però: le piogge, come una crisalide, si consumano nell’arco di un mese. Allo scadere, ogni cosa torna ad essere ciò che era: la vita rallenta i ritmi per gli animali e si spegne per la flora. La Serra torna ad indossare i colori lunari della caatinga e dove prima era verde ora vi sono solo spine e radici, protese verso il cielo nella spasmodica ricerca d’acqua.
Mutazioni antiche
Eppure non è sempre stato così. Il processo di diminuzione delle piogge è cominciato novemila anni fa con il cambiamento progressivo dei venti e delle correnti marine, durante il passaggio dal Pleistocene all’Olocene. La vegetazione fu la prima a dover sottostare a queste variazioni climatiche, accettando l’unica opzione possibile: l’adattamento. Così le foglie divennero spine dando vita alla caatinga, un nuovo tipo di flora che, una volta all’anno si sveglia offrendo il mutamento di un paesaggio, agli albori del processo di desertificazione. A dispetto delle apparenze, la caatinga brulica di una fauna variegata; ad offrire una colonna sonora continua, oltre duecento specie di uccelli, dal colibrì all’aquila del Chili.
La Falaise des Hirondelles è un rifugio per migliaia di rondini. Ogni mattina, sul fare dell’alba, stormi infiniti lasciano una fessura stretta tra due canyon dove fanno ritorno al tramonto. Non solo: il certao è il regno dei mocò, curiosi roditori domiciliati nei siti archeologici, di formichieri giganti e di armadilli, di cui si contano cinque diverse specie. Primati, cinghiali e giaguari completano il corollario dei residenti del parco.
Serra da Capivara, 1963: l’intuizione in una fotografia
Era il 1963 quando l’allora sindaco della Città di Sao Paulo mostrò all’allora titolare della cattedra di archeologia presso l’università della Sorbona a Parigi, Niede Guidon, l’istantanea di un rupestre inciso su una parete della Serra. L’archeologa capì immediatamente la portata della scoperta, ma una prima spedizione condotta nell’Aprile dello stesso anno naufragò nelle piene del certao. Passarono le stagioni senza che la Guidon riuscisse a rimuovere dalla memoria l’immagine di quel cavallo stilizzato impresso sulla pellicola. Solo nel Sessantotto, anno in cui i giorni erano scanditi dal progresso e dalla contestazione, la Guidon tornò a ripercorrere i dirupi della Serra. Lo spettacolo fu davvero emozionante, al punto che, ancora oggi, Niede si commuove raccontando questa storia. Dopo un lungo percorso a piedi raggiunse la Toca della Pedra Furada e il panorama che si svelò offrì lo spettacolo di oltre duecento siti archeologici; anche se questo avrebbe rappresentato un semplice assaggio. Da allora, ogni spedizione portò a nuove scoperte, fino al 1978, anno in cui si raggiunse la cifra di settecentocinquantanove siti archeologici per un totale di ben settemila dipinti rupestri. Le spedizioni cominciarono a vantare sempre più partecipanti, provenienti da tutte le parti del mondo. Pionieri di quella che con il tempo sarebbe diventata un’equipe di studiosi a tutti gli effetti. Mancava una sola cosa: dare una storia ai frammenti di passato che avevano tra le mani.