Metà circa della popolazione dello Yucatán è Maya. Una sintesi eloquente dell’identità meticcia. Né maya né spagnoli. Nell’architettura, nella lingua, nella religione, nei costumi, nella gastronomia, la contaminazione tra l’antica cultura maya e quella dei “conquistadores” ha prevalso. Ci sono parole maya entrate nello spagnolo ma anche viceversa. I Maya continuano a chiamare il cavallo “tzimin”, che significa tapiro, nome che associarono al quadrupede che non conoscevano. Ci sono pietre maya nelle chiese e nei palazzi coloniali, vestigia del passato preispanico dissimulati dagli archi dei conventi, dalle recinzioni delle grandi tenute rurali.
“Cochinita pibil, Poc Chuc, papadzules”: ci sono reminiscenze maya nei nomi e nei sapori della sfiziosa gastronomia yucateca (di cui abbiamo parlato in “Yucatan sconosciuto”).
Ritmi preispanici accompagnano rituali antichi mimetizzati nelle feste cattoliche della penisola. Questa è la vera resistenza dei discendenti dei Maya, che crearono la più evoluta civiltà mesoamericana: simboli e miti sopravvissuti alla conquista spagnola, dèi preispanici travestiti per secoli da santi cristiani.
Ma qual è l’elemento più evidente di continuità con il passato? La lingua: “maya yucateco”. Nella penisola protesa tra il Mar dei Caraibi e il Golfo del Messico lo parlano in tutti i paesi non soli gli indigeni, come avviene (per altre lingue) negli altri stati del Messico, ma anche i meticci.
Mayab, tierra de los pocos
Dal maya “ma” (no) e “yaab” (molti): “non ce ne sono molti”. Ecco il significato di Mayab, che si legge sull’insegna degli autobus che percorrono la penisola che i Maya abitano da qualche millennio. E allora perché viene chiamata Yucatán? L’origine del toponimo deriva da un equivoco. Gli Spagnoli intesero “u’y than” (Yucatán) ma era solo un commento alle prime parole dei “conquistadores”: “ascolta come parlano”, dicevano i Maya senza comprendere la nuova lingua. Ma il nome rimase appiccicato da allora a questa torrida pianura calcarea senza corsi d’acqua superficiali, ma percorsa da fiumi sotterranei che formano lagune di acqua fresca cui si accede da pozzi naturali profondissimi. Che i Maya avevano chiamato “cenotes” costruendovi intorno i propri insediamenti. Oggi la penisola yucateca è una delle zone archeologiche più ricche d’America, che si allarga nel Chiapas, nel Belize, nel Guatemala, nell’Honduras, nel SalvadorGrandi piramidi-non-piramidi. Come a UxmalTutto lo Yucatán è costellato di resti monumentali. Uxmal,
Chichén Itzà, Tulum non sono che i più conosciuti. Molti altri siti punteggiano la regione più settentrionale della vasta area culturale dei Maya, le cui origini risalgono circa al 1500 a.C., il massimo splendore al periodo Classico, che diede grandi risultati in campo matematico, astronomico e il più completo sistema di scrittura dell’America preispanica; il tramonto, avvolto nel mistero, al X secolo. Come Edznà, a sud-est di Campeche che merita soprattutto per la piramide de Los Cinco Pisos; o Dzibilchaltun, a nord di Merida, centro cerimoniale percorso da un ampio viale centrale con una piazza dove si trova il “Templo de las siete Muñecas” così chiamato per il rinvenimento di sette bambole (muñecas) in argilla al suo interno; o Mayapàan, a sud della capitale yucateca, un sito importante, ma di più difficile lettura, che fu una delle capitali maya; o, sempre a sud di Merida, la Ruta Puuc e ancora, a nord di Valladolid, Ek Balam del primo periodo classico, a nord di Tulum, Cobà e, un centinaio di chilometri a ovest di Chetumal, le suggestive rovine della regione Rio Bec (di cui abbiamo parlato in “Yucatan sconosciuto”), poco frequentate per la loro posizione immersa nella grande foresta.
Yucatan, grandi piramidi-non-piramidi. Come a Uxmal
Già, piramidi, ma non erano vere piramidi quelle dei Maya: tranne rare eccezioni, non erano cioè monumenti sepolcrali. Templi, piuttosto, o meglio, enormi basamenti a gradoni per i templi che sorgevano alla sommità, dove potevano accedere solo i sacerdoti. Lo scopo era ben preciso: impressionare la popolazione che assisteva ai rituali dal basso. Ogni governante ingrandiva le costruzioni sovrapponendo nuove strutture e accrescendo la grandiosità dell’effetto. Un esempio è la Piramide del Adivino, a Uxmal. Appare per prima, oltre l’ingresso del sito: trentacinque metri puntati verso il cielo e una ripidissima scalinata centrale che una catena aiuta ad affrontare per guadagnare il tempio che sorge alla sommità. Dove la vista è spettacolare. A un’ottantina di chilometri a sud di Merida, Uxmal è defilata rispetto alle rotte più battute dai visitatori, e bellissima. Di quella che fu una gloriosa città tra il 600 e il 1000 d.C., si conserva tutta l’area monumentale, uno dei migliori esempi dell’architettura maya. Poco oltre l’Adivino vi sono quattro grandi edifici, decorati da motivi geometrici e figure umane e animali, che gli Spagnoli chiamarono Quadrilatero delle Monache credendo, erroneamente, che dovesse ospitare un convento di sacerdotesse maya. Nel “Cuadrangulo de las Monjas” il motivo del dio Chac è ripetuto in maniera quasi ossessiva nei mascheroni che ornano gli edifici. Signore dell’acqua e della pioggia, era una delle più importanti divinità per i Maya. Un Dio che decideva della sopravvivenza della popolazione, soprattutto a Uxmal dove non esistevano “cenotes” e ci si serviva di apposite cisterne artificiali sotterranee per raccogliere e conservare l’acqua piovana.
Monumenti come giornali illustrati
Ma non solo le sculture, le ornamentazioni in stucco, le elaborate decorazioni in pietra creavano grande effetto: su gran parte degli edifici erano dipinte scene di vita quotidiana e cerimonie religiose, poi c’erano le iscrizioni: eventi storici, astronomici e vicende dinastiche venivano registrati con la prima forma di scrittura fonetica del continente. Vero capolavoro Puuc è il “Palacio del Gobernador”, che fu residenza dei sovrani della città. Se questo stile dell’architettura maya ha la sua massima realizzazione a Uxmal, anche Kabah con il bellissimo Codz-Pop, quasi interamente rivestito da mascheroni raffiguranti il dio Chac, Sayil con “El Palacio” dall’importante decorazione e ancora Xlapak e Labnà, con il grande arco e il complesso di edifici ornati da mascheroni e altre decorazioni, sono aree archeologiche di notevole interesse lungo la cosiddetta Ruta Puuc. Questo particolare stile dell’architettura maya, che deriva il nome da quello delle basse colline (“puuc” in maya) che punteggiano la zona a sud di Merida sovrastando l’uniforme pianura yucateca, presenta una decorazione esuberante in pietra, creste traforate che sovrastano la copertura dei templi, fregi dai motivi che si ripetono in modo spesso ossessivo, mascheroni e colonne. Tanto che c’è chi l’ha definito “barocco” maya.