Venerdì 22 Novembre 2024 - Anno XXII

La Réunion, melting pot etnico e vulcani

Se cercate spiagge di sabbia bianca, palme e mare turchese, avete sbagliato posto. Se al contrario vi affascinano l’oceano, le scogliere, i vulcani e la natura non si limita a cascate di buganvillee, allora questa è la vostra isola

Chi sono i reunionesi?

Mix di razze
Mix di razze

Non sono neanche un milione gli abitanti de La Réunion, ma sono un tale “mix” di razze e provenienza da far invidia alle megalopoli più cosmopolite.
La componente maggiore, circa il quaranta per cento, sono i “Creoli” nati nell’isola da genitori isolani. Sono i discendenti delle prime famiglie qui insediatesi, provenienti dalla Francia o dal Madagascar.
Si definiscono creoli, sono cattolici e lavorano nel terziario o nell’agricoltura. Numerosi sono anche i “Cafres”, parola data agli africani dall’arabo “kafir” (infedele); discendono dagli schiavi portati qui nell’ottocento dal Mozambico e dalla Tanzania. Lavorano nelle piantagioni di canna da zucchero o nelle piccole industrie e sono di religione cattolica con infiltrazioni di riti vudù.
I “Malabars”, circa il venticinque per cento, sono indiani non musulmani, anche loro arrivati come schiavi. Seguono in parte riti induisti e lavorano sovente nell’agricoltura.
I “Zarabes” non sono arabi, ma indiani musulmani originari del Gujarat e da lì immigrati per ragioni economiche. Si dedicano al commercio e sono per lo più benestanti.
I “Cinesi poi, circa il sette per cento, discendono da quelli arrivati a metà Ottocento per trovare lavoro nelle piantagioni di canna da zucchero. Sono piccoli commercianti e agricoltori e seguono la religione degli avi.
Una minima parte della popolazione è rappresentata da individui emigrati di recente dal Madagascar o dalle vicine isole Comore e infine l’uno e quattro per cento sono i francesi metropolitani, del continente, ora in netto calo. Per la maggior parte funzionari pubblici, vengono chiamati “Les z’oreilles”, dal gesto di avvicinare la mano all’orecchio per farsi ripetere la frase dei primi arrivati, quando parlavano loro in creolo.

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