Lo vedo ancora, in quella sera d’estate. Il mio luogo di vacanza (San Vincenzo, in provincia di Livorno) è sempre stato lontano dalla mondanità e dalle cronache. Quella sera, una sorpresa. In piazza c’era Ambrogio Fogar, che aveva appena finito il giro intorno al mondo “in solitaria”. Era stato allestito uno schermo gigante, dove Ambrogio proiettò delle diapositive del suo viaggio, illustrandone le difficoltà e il fascino.
Alla fine si sottopose, con una disarmante dolcezza che ancora ricordo, al tradizionale rito delle domande e a quello degli autografi. Ero un adolescente, allora, e ingaggiai una buffa gara con il mio giro di amici su chi avesse ottenuto per primo il suo “trofeo”.
Quella firma blu su un foglietto strappato da un’agenda tascabile di mia nonna è sopravvissuta ai miei vari traslochi, accompagnandomi fino a Milano. Quel foglietto era diventato un segnalibro. Stamattina l’ho cercato per un po’, dove pensavo che fosse. E invece non c’era. Meglio così.
Ambrogio Fogar l’ho riscoperto collega alle ultime elezioni sindacali, in un’altra lista. Mi ripromettevo un giorno o l’altro di scrivergli, per chiedere se fosse possibile andare a trovarlo. Volevo raccontargli di quella sera lontana, tra le stelle e il mare. E delle emozioni che avevo provato quando era stato pubblicato sul Corriere uno speciale a lui dedicato.
Quando si lascia l’ormeggio è tradizione fare un augurio particolare: “Buon vento”. Mi piace usarlo in questa occasione e dire “Buon vento, Ambrogio” perché ha in sé il senso di un arrivederci. Magari nell’Isola che non c’è. Seconda stella, a destra.